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9 11, 2011

SUCCESSIONE DINASTICA E LEGITTIMO GRAN MAGISTERO DELL’ORDINE COSTANTINIANO (III y ÚLTIMA).

Por |2020-11-13T03:47:25+01:00miércoles, noviembre 9, 2011|

ESEGESI STORICO-GIURIDICA SULLE DISPUTE DINSTICHE DELLA REAL CASA DI BORBONE-DUE SICILIE.
Por D. Pino Zingale.
Armas del Caballero Pino Zingale.
(Blasón extraido del Armorial de esta Casa Troncal).
TERCERA Y ÚLTIMA PARTE.
LA LEGITTIMA SUCESSIONE DINASTICA DELLA REAL CASA DI BORBONE DUE SICILIE E LA PRIMOGENITURA FARNESIANA.
Non si indugerà, in questa sede, ad approfondire le tematiche relative alla separatezza tra la qualità di Primogenito farnesiano (al quale è “de jure” connessa la titolarità del Gran Magistero Costantiniano) e quella di Capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie, pur senza aderire alla tesi dell’avvenuta unificazione o confluenza nella prima nella seconda (non sussiste nessun documento che supporti tale prospettazione), trattandosi di quella che in diritto internazionale si definirebbe mera unione personale e non reale, in quanto la titolarità della Corona delle Due Sicilie (rectius: Capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie) si atteggia già di per sé chiaramente ed indiscutibilmente in capo al Principe spagnolo Don Carlos.
Con riferimento al primo profilo – titolarità di Capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie – deve osservarsi come l’ordine di successione alla Corona delle Due Sicilie sia regolato dall’articolo 70, Capitolo IV, dell’ultima Costituzione del Regno, promulgata con Atto Sovrano del 10 gennaio 1848 e confermata con Real Proclama del 28 giugno 1860.
Esso recita testualmente: «L’atto solenne per l’ordine di successione alla Corona dell’Augusto Re Carlo III del 6 di ottobre 1759 confermato dall’Augusto Re Ferdinando I nell’articolo 5 della legge degli 8 di dicembre 1816, gli atti sovrani del 7 di aprile 1829, del 12 di marzo 1836, e tutti gli atti relativi alla Real Famiglia rimangono in pieno vigore».
Gli Atti Sovrani del 1829 e del 1836 riguardavano i matrimoni dei membri della Real Casa e stabilivano che i matrimoni di un dinasta, che non avessero ricevuto l’assenso del Sovrano, escludessero il Principe o la Principessa contraente dalla successione.
Dunque per determinare chi sia il successore alla Corona o, rectius, dopo la morte dell’ultimo Re nel 1894, alla carica di Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, ci si deve basare esclusivamente sulla «Pragmatica Sanzione» emanata dal Re Carlo VII di Napoli e Sicilia, divenuto poi Carlo III di Spagna, del 6 ottobre 1756.
La pragmatica sanzione di Carlo VII.

Quest’atto regola la successione non solo alla Corona delle Due Sicilie ma anche a quella spagnola e dispone che queste due Sovranità non possano mai essere unite nella stessa persona. Infatti esso fu redatto in conformità al Trattato di Napoli del 3 ottobre 1759, che a sua volta dava esecuzione alle disposizioni dei Trattati di Vienna del 1736-1739. Lo scopo di questi trattati, come affermato dallo stesso Sovrano nel terzo paragrafo della «Pragmatica», era quello di preservare «in Europa equilibrium», impedendo che un Monarca spagnolo potesse in futuro regnare direttamente anche in Italia.
Carlo III, che quando era Re di Napoli era stato anche Principe Ereditario di Spagna per tutta la durata del regno del fratello maggiore Ferdinando IV, indicava così chi gli dovesse succedere come Re di Spagna e ciò consente di affermare, innanzitutto, che non vi è motivo di ritenere che essere Re delle Due Sicilie pregiudicasse in qualche modo eventuali diritti spagnoli.
I trattati internazionali sopra citati proibivano, infatti, solo l’unione materiale delle due Corone e richiedevano che Carlo, una volta diventato Re di Spagna, abdicasse agli «Stati e Beni Italiani» in favore di chi gli veniva dopo nell’ordine di successione. Il trono principale era quello di Spagna e quindi è al suo secondogenito (a causa della grave malattia mentale della quale era affetto il primogenito) che egli attribuisce con la Pragmatica la posizione di «primogenito» ed il titolo di Principe delle Asturie. Mentre al suo terzogenito (ora «secondogenito» dopo l’esclusione dell’originario primogenito), l’Infante Ferdinando, egli conferisce la Sovranità sugli Stati Italiani, riservando per se stesso la sola Corona di Spagna.
Seguiva poi la parte più importante della Pragmatica, il regolamento dell’ordine di successione.
Questo si basava su quattro punti fondamentali:
1. che la Corona passasse per primogenitura con diritto di rappresentazione ai discendenti maschi da maschi del nuovo Re Ferdinando;
2. che mancando discendenti di questo passasse agli altri fratelli di Ferdinando, che erano tutti Infanti di Spagna;
3. che venendo meno anche gli eredi di questi, si trasmettesse all’erede femmina più prossima all’ultimo Re;
4. che in mancanza anche di quest’ultima la Corona passasse ai fratelli dell’Infante Don Filippo, Duca di Parma, o in sua mancanza, all’Infante Don Luigi.
Il paragrafo terminava con la proibizione che la sovranità dei «domini italiani» potesse essere mai più riunita alla Corona di Spagna, e più specificatamente prescriveva che qualora un Re di Spagna o un Principe delle Asturie ereditasse la sovranità Italiana vi rinunciasse in favore del Principe che si trovava ad essere secondo nell’ordine successorio.
Da questo documento si possono trarre due importanti conclusioni ai fini che qui rilevano.
La prima è che la successione avveniva per primogenitura maschile; la seconda, che non c’era nulla che impedisse ad un Infante di Spagna di godere allo stesso tempo di un diritto di successione al Trono di Spagna e della sovranità «degli Stati e Beni Italiani».
Questa possibilità era ben chiara a Carlo III, visto che i capi della dinastia delle Due Sicilie godevano di un diritto al trono spagnolo e viceversa.
Francesco II di Borbone.

Da un punto di vista genealogico è chiaro, dunque, chi sia stato il successore dell’ultimo Re Francesco II, deceduto nel 1894 senza lasciare figli: a lui successe come Capo della Real Casa il primo dei fratelli viventi, Alfonso, Conte di Caserta: e su tale circostanza non sussiste controversia alcuna.
Questo Principe aveva contratto un matrimonio con una principessa di sangue reale, in ossequio alle leggi del Regno delle Due Sicilie, ed ebbe numerosi figli maschi, il primo dei quali, Ferdinando Pio (1869-1960) gli successe come Capo della Casa nel 1934. Anche su tale successione non sussiste nessuna controversia dinastica.
Ferdinando Pio, sposato con una Principessa di Baviera, ebbe un solo figlio maschio, Ruggero, morto a soli 13 anni nel 1914, e diverse femmine. Alla sua morte, nel 1960, il primo nella linea di successione sarebbe stato il fratello Carlo, che però era deceduto nel 1949 lasciando solo un figlio maschio (avuto dall’Infanta Mercedes, Principessa delle Asturie ed, in quanto tale, erede al trono spagnolo), Don Alfonso, Infante di Spagna, principe consorte dell’erede al trono di Spagna, il quale era genealogicamente il più vicino al capofamiglia defunto e che, pertanto, si proclamò Capo della Real Casa delle Due Sicilie, assumendo l’intero patrimonio araldico e dinastico della Famiglia, con i titoli di Duca di Calabria, Conte di Caserta e Gran Maestro degli Ordini Reali e Dinastici.
Ferdinando Pio di Borbone.

E’ a questo punto che si verifica la ribellione del ramo ultrogenito facente capo al Principe Ranieri di Borbone – Due Sicilie, fratello del Principe Ferdinando Pio di Borbone – Due Sicilie, il quale non riconobbe il Principe Alfonso come Capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie, autoproclamandosene capo egli stesso.
Dal quel ramo ultrogenito deriva l’attuale Principe Carlo di Borbone – Due Sicilie, Duca di Castro, mentre da quello primogenito deriva S.A.R. l’Infante di Spagna Don Carlos di Borbone – Due Sicilie.
Quelli che contestano la successione dell’Infante Alfonso (e, quindi, del Principe Don Carlos, Infante di Spagna) lo fanno basandosi principalmente su due argomenti, entrambi palesemente infondati.
Essi sostengono che la Pragmatica sancisca la totale incompatibilità della dignità di Infante di Spagna ed erede al trono spagnolo con i diritti di successione delle Due Sicilie: si vorrebbe, cioè, che non sia possibile godere diritti dinastici ad entrambe le successioni perché le due Case sarebbero totalmente separate e indipendenti.
Tale tesi è smentita dal dato storico, in quanto la stessa successione di Carlo III costituisce un precedente chiaro ed inconfutabile: pur essendo Re delle Due Sicilie egli poté tranquillamente succedere al trono spagnolo dopo aver trasferito la Sovranità Italiana al secondo chiamato nell’ordine di successione.
I sostenitori del ramo ultrogenito trascurano, inoltre, di considerare sia l’esperienza storica di numerose famiglie reali europee (si veda per tutti la vicenda degli Stuart titolari della Corona scozzese ed eredi – poi succeduti realmente alla fine dei Tudor, loro cugini – anche del trono d’Inghilterra), sia che la Costituzione spagnola del 1876 conferiva un diritto di successione al trono a tutti i discendenti dei fratelli e sorelle di Ferdinando VII, fra i quali l’Infanta Isabella, moglie di Francesco I delle Due Sicilie, da cui hanno origine tutte le esistenti linee di quella Casa Reale non più regnante. In virtù di questo status e delle opportunità che offriva loro alcuni figli del Conte di Caserta ottennero cittadinanza e titoli spagnoli e si arruolarono nell’esercito del Regno di Spagna.
Appare, dunque, destituita di ogni fondamento giuridico e storico l’affermazione fatta dagli oppositori della linea primogenita, secondo i quali non sarebbe possibile godere dei diritti di successione ad entrambi i troni.
Il secondo argomento sollevato dai sostenitori della linea francese è che il Principe Carlo delle Due Sicilie, firmando il 14 dicembre 1900, pochi giorni prima del suo matrimonio con l’Infanta Mercedes, un documento noto come «Atto di Cannes» avrebbe compiuto un’ultima e definitiva rinuncia ai diritti al trono delle Due Sicilie e al Magistero degli Ordini della Casa, vincolando se stesso ed i propri discendenti (tra i quali l’attuale Infante di Spagna Don Carlos) in perpetuo.
In disparte la considerazione che l’Ordine Costantiniano non può definirsi, stricto jure, né collegato al diritto di successione al trono delle Due Sicilie, né propriamente Ordine della Casa Reale di Borbone-Due Sicilie (per le ragioni già illustrate a proposito della c.d. “primogenitura farnesiana”), quell’atto, in realtà, è diviso in due parti, la prima delle quali riguarda la futura successione alla Corona ed ai beni che si trovavano in Italia, la seconda le proprietà e gli investimenti lasciati in eredità da Francesco II e di cui il Principe Carlo non avrebbe più avuto bisogno in ragione del patrimonio portato in dote dalla futura moglie.
E’ opportuno dunque prendere in esame la prima parte del testo: «Si è presente Sua Altezza Reale il Principe D. Carlo Nostro amatissimo Figlio ed ha dichiarato che dovendo Egli passare a Nozze con Sua Altezza Reale l’Infanta Donna Maria Mercedes, principessa delle Asturie, ed assumendo per tal matrimonio la nazionalità e la qualità di Principe Spagnuolo, intende rinunziare, come col presente atto solennemente rinunzia per Sé e per i suoi Eredi e Successori ad ogni diritto e ragione alla eventuale successione alla Corona delle Due Sicilie ed a tutti i Beni della Real Casa trovantisi in Italia ed altrove e ciò secondo le nostre leggi, costituzioni e consuetudini di Famiglia ed in esecuzione della Prammatica del Re Carlo III, Nostro Augusto antenato, del 6 ottobre 1759, alle cui prescrizioni egli dichiara liberamente esplicitamente sottoscrivere ed obbedire.»
Va rilevato come il Principe Carlo dichiarasse di volere rinunciare secondo le «leggi, costituzioni e consuetudini di Famiglia ed in esecuzione della Pragmatica del 1759» alle quali prometteva di obbedire. Ma nella Costituzione e nella Sanzione in questione il Re Carlo III non adopera mai le parole «Corona delle Due Sicilie» ma piuttosto le locuzioni «Potere Spagnolo e Italiano», «Sovranità Italiana», «Stati e Beni Italiani»: fra le ipotesi vietate non rientra dunque quella di essere Capo della Casa Reale di un Regno che, peraltro, a quella data non esisteva più da tempo.
Inoltre, per il diritto internazionale (pubblico) i trattati fra Stati sono soggetti alla clausola rebus sic stantibus, da cui deriva che il trattato perde validità qualora le situazioni e condizioni premesse all’atto vengano meno.
Orbene, qui è chiaro come il venir meno addirittura di uno dei contraenti (il Regno delle Due Sicilie) dei Trattati di Napoli e Vienna abbia reso prive di valore le clausole di attuazione contenute nella Pragmatica Sanzione di Carlo III e, di conseguenza – per il riferimento che vi è fatto – anche l’Atto di Cannes.
A ciò va aggiunto, sul piano del diritto civile, il fatto che il Principe Carlo non rinunciava sic et simpliciter ad una Corona – che non aveva e nei cui confronti, per i buoni rapporti esistenti tra Spagna ed Italia, non sussisteva pretensione alcuna – ciò che al limite potrebbe essere considerato come cessione del bene di un terzo, ma rinunciava ad un diritto successorio che peraltro era solo eventuale non essendovi alcuna successione aperta.
Questo tipo di rinuncia non poteva essere considerato valido (anzi, era del tutto nullo) alla stregua delle disposizioni del codice civile del cessato Regno delle Due Sicilie e di quello italiano all’epoca vigente, e visto che l’oggetto della rinuncia era la successione alla Corona delle Due Sicilie, vale la pena di considerare il Codice Civile di quel Regno cui le parti contraenti l’Atto di Cannes avevano dichiarato esplicitamente di volersi conformare.
Recitava l’articolo 708 che «non si può, né pure nel contratto di matrimonio, rinunziare alla eredità di un uomo vivente, né alienare i diritti eventuali che si potrebbero avere a tal successione».
L’articolo 1084, poi, stabiliva che «le cose future possono essere oggetto di una obbligazione. Ciò non ostante non si può rinunziare ad una successione non ancora aperta, né fare alcuna stipulazione intorno alla medesima, nemmeno col consenso di colui della cui eredità si tratta».
L’articolo 1343, ancora, fissava la regola secondo la quale i coniugi «non possono fare alcuna convenzione o rinunzia, il di cui oggetto fosse diretto ad immutare l’ordine legale delle successioni, sia per rapporto ad essi medesimi nella successione de’ loro figli o discendenti, sia per rapporto à figli fra loro».
Infine l’articolo 1445 stabiliva che «non si può vendere l’eredità di una persona vivente, ancorché questa vi acconsentisse».
Riguardo poi alle norme di diritto internazionale privato, il codice era chiaro, e l’articolo 6 recitava che «i nazionali del Regno delle Due Sicilie, ancorché residenti in paese straniero, sono soggetti alle leggi che riguardano lo stato e la capacità delle persone».
Va però notato che a quell’epoca il Principe Ferdinando Pio, Capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie, ed il Principe Ereditario Carlo erano entrambi cittadini italiani e visto che i beni oggetto della rinuncia si trovavano anche (e principalmente) in Italia, se una delle parti avesse agito in giudizio per l’esecuzione dell’atto si sarebbe dovuto applicare il diritto del Regno d’Italia.
Era allora in vigore il Codice Civile del 1865 il quale, dopo aver premesso all’articolo 12 che «in nessun caso le leggi, gli atti e le sentenze di un paese straniero, e le private disposizioni e convenzioni potranno derogare alle leggi proibitive del Regno che concernano le persone, i beni o gli atti, né alle leggi riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico ed il buon costume», all’articolo 9 delle preleggi sanciva che «le forme estrinseche degli atti tra vivi e di ultima volontà sono determinate dalle legge del luogo in cui sono fatti» mentre «la sostanza e gli effetti delle obbligazioni si reputano regolati dalla legge del luogo in cui gli atti furono fatti».
Visto che l’atto in questione fu redatto e firmato in Francia, è fatto rinvio al diritto francese (che tale rinvio accettava), e precisamente al Code Napoléon (emanato nel 1806 ed ancora in vigore un secolo dopo) che recita «on ne peut, même par contrat de mariage, renoncer à la succession d’un homme vivant, ni aliéner les droits éventuels qu’on peut avoir à cette succession
[..]. Les choses futures peuvent être l’object d’une obbligation. On ne peut cependant renoncer à une succession non ouverte, ni faire aucune stipulation sur une pareille succession, même avec le consentement de celui de la succession duquel il s’agit.» (Non si può, neanche per contratto di matrimonio rinunciare alla successione di un uomo in vita, nè alienare i diritti eventuali che si possono avere a questa successione. Le cose future possono essere oggetto di un’obbligazione. Non si può, tuttavia, rinunciare ad una successione non aperta, nè porre alcuna clausola su una simile successione, anche con il consenso di colui al quale la successione si riferisce). E parlando del matrimonio e dei diritti degli sposi continua sancendo che «Ils ne peuvent faire aucune convention ou renonciation dont l’objet serait de changer l’ordre légal des successions, soit par rapport à eux-mêmes dans la succession de leurs enfants ou descendants, soit par rapport à leurs enfants entre eux» (Non possono fare alcuna convenzione o rinuncia il cui oggetto sarebbe cambiare l’ordine legale delle successioni, sia in relazione a se stessi che ai propri figli o discendenti, sia in rapporto ai figli tra di loro.).
Le succitate disposizioni di legge non potrebbero essere più esplicite nel dichiarare nulla ogni rinuncia di eredità futura.
Considerato che, come già chiarito, non c’era nulla nella legge dinastica delle Due Sicilie che imponesse la necessità di una rinuncia al diritto di successione e visto che i Codici Civili delle Due Sicilie, d’Italia e Francia proibivano tutti rinunce di questo tipo, la rinuncia operata dal Principe Carlo non può che ritenersi del tutto nulla e «tamquam non esset».
L’originario divieto di cumulare le corone di Spagna e delle Due Sicilie, peraltro, aveva come scopo di preservare l’equilibrio dei poteri in Europa ovvero, per dirla con le parole dello stesso Carlo III, di preservare «…lo spirito dei trattati di questo secolo nostro, che si desideri dall’Europa, quando si possa eseguire senza opporsi alla giustizia…». Ma nel 1900 la Corona delle Due Sicilie non esisteva più e non era più ipotizzabile (condizione impossibile) che venissero ad unirsi la «potenza Italiana e Spagnuola», sicché tale rinuncia fu del tutto illegale sia sul piano dinastico-successorio che su quello del diritto civile.
Vale la pena di ricordare, infine, che lo stesso presidente delle Cortes Spagnole nell’annunciare il matrimonio tra il Principe Carlo e la Principessa delle Asturie, allora erede presuntiva al trono di Spagna, comunicò che il nubendo avrebbe preso la nazionalità spagnola (cosa che fece il 7 febbraio 1901) senza bisogno di dover rinunciare ad alcuno dei propri diritti ereditari quale Principe delle Due Sicilie ed il Ministro della Giustizia aveva precedentemente avvertito la Regina che «Sua Altezza Reale il Principe Don Carlo non era obbligato a rinunciare ad alcun tipo di diritto familiare o dinastico e che se anche mai avesse voluto farlo non avrebbe potuto: in primo luogo perché i diritti dinastici sono di per sé irrinunciabili….. e poi perché, dal momento che la Corona delle Due Sicilie non esisteva più, non avrebbe potuto rinunciarvi neanche in maniera ipotetica».
La coppia si sposò il 14 febbraio 1901 ed il primo figlio, Alfonso, nacque circa nove mesi dopo, il 30 novembre dello stesso anno. Un secondo figlio, Fernando, nacque il 6 giugno 1903 ma morì all’età di soli due anni il 4 agosto del 1905. Ed infine nacque una femmina, l’Infanta Isabella, il 16 ottobre 1904, ma nel darla alla luce la madre morì, sicché il piccolo Alfonso divenne Principe Ereditario alla Corona spagnola con il titolo di «Infante Heredero». Questo status lo perse solo tre anni dopo, con la nascita il 10 maggio 1907 del Principe delle Asturie, figlio del Sovrano regnante, mentre la nascita di un altro figlio di Alfonso XIII lo distanziò ulteriormente nell’ordine di successione al trono.
Il Principe Carlo, inoltre, era stato creato Infante di Spagna il 7 febbraio 1901 e conservò questo titolo per tutta la vita. Il 16 novembre 1907 sposò in seconde nozze la Principessa Luisa d’Orléans, figlia del Conte e della Contessa di Parigi. In tutte le cerimonie egli veniva indicato come Principe delle Due Sicilie e Infante di Spagna e suo padre fu presente come capofamiglia dello sposo.
La Principessa Luisa fu creata a sua volta Infanta di Spagna il giorno del matrimonio ed ai figli nascituri venne altresì concesso il titolo di Principe o Principessa di Borbone, con il trattamento e gli onori di Infanti di Spagna. La loro figlia Mercedes sposò Don Juan, Conte di Barcellona, ed è la madre dell’attuale Re di Spagna Juan Carlos I.
Tutto ciò senza considerare, come si è accennato, che il Gran Magistero Costantiniano fa capo alla qualità di Primogenito Farnesiano, la cui successione, distinta e separata, è disciplinata in modo diverso da quella del Regno delle Due Sicilie con la quale ha condiviso, in unione personale nei Capi della famiglia Reale di Borbone – Due Sicilie, la sua storia più recente, e che trattandosi di Ordine religioso (i cavalieri di giustizia professi di voti religiosi – come nell’Ordine di malta – non esistono di fatto ma non sono mai stati giuridicamente soppressi) è disciplinato dalle norme di diritto canonico ed un eventuale trasferimento della linea di successione al Gran Magistero (che è pure ufficio religioso) già approvata dalla Santa Sede avrebbe dovuto avere l’ulteriore approvazione pontificia che, invece, non è mai stata neppure richiesta.
E di rinuncia alla qualità di Primogenito Farnesiano (status, è bene ricordarlo, in unione personale ma non reale nell’allora Capo della Casa Reale di Borbone-Due Sicilie) ed ai conseguenti diritti dinastici e prerogative ad essa connesse non vi è nessuna traccia nell’Atto di Cannes.
Nel 1941 la Real Casa delle Due Sicilie decise di vendere i suoi ultimi possedimenti in Italia (fra cui parte del ducato di Castro ereditato dai Farnese) al governo italiano. Sebbene questi facessero dunque parte dei «Beni della Real Casa trovantisi in Italia» a cui i sostenitori della linea ultrogenita pretendono che il Principe Carlo avesse rinunciato nella prima parte dell’Atto di Cannes, non venne mai fatta alcuna menzione di tale presunta rinuncia. Anzi, i documenti di trasferimento e di vendita dimostrano che egli ottenne la parte che gli spettava assieme ai fratelli e sorelle, venendo nominato subito dopo il fratello Ferdinando Pio.
In una lettera al Principe Ferdinando Pio datata 7 marzo 1941, il Principe Carlo diede istruzioni al fratello circa i dettagli bancari per il pagamento della propria quota. E’ impossibile comprendere perché il Principe Carlo avrebbe dovuto partecipare a questa vendita assieme ai fratelli e sorelle se questi avessero ritenuto che egli aveva rinunciato ai propri diritti di successione.
Il 7 gennaio 1960 Ferdinando Pio, Duca di Calabria, morì a Lindau in Baviera. Il 6 febbraio dello stesso anno l’Infante Don Alfonso, essendo il proprio padre Carlo già morto, scrisse al Sommo Pontefice Giovanni XXIII per informarlo, con una lunga lettera in cui ripercorreva la storia dell’Ordine Costantiniano (che è anche Ordine della Chiesa Cattolica e che, similmente all’Ordine di Malta, era Ordine religioso e laicale, anche se da tempo non esistono più «de facto» membri che emettono i tre voti religiosi) della propria accessione al Gran Magistero di quell’Ordine. Il 7 febbraio 1960 l’Infante Don Alfonso si proclamò Capo della Real Casa delle Due Sicilie e Duca di Calabria e ne diede comunicazione scritta a tutti i Capi di Case regnanti o ex regnanti.
Il 12 marzo 1960 il Conte di Barcellona, padre dell’attuale Re di Spagna, all’epoca capo della Casa Reale Spagnola e Pretendente al trono di Spagna, gli rispose con queste parole: «Ho studiato attentamente la Pragmatica Sanzione di Carlo III e la rinuncia fatta da tuo padre al momento del suo matrimonio con mia zia la Principessa delle Asturie, e mi sembra che i tuoi diritti siano molto chiari, e di conseguenza avrai tutto il mio sostegno per ciò che riguarda le tue legittime aspirazioni. Visto che conosci tuo zio Ranieri meglio di me, fammi sapere se pensi che possa essere utile che gli scriva dandogli la mia opinione, poiché dal mio punto di vista è l’unico che dimostra una certa belligeranza visto che è l’unico fratello superstite dello Zio Nando Calabria e si era fatto qualche illusione riguardo l’eredità. Ti ricorderai di certo che due anni fa’ parlai con lo Zio Nando senza ottenere alcun risultato».
Il 18 marzo dello stesso anno il Principe Alfonso ricevette una lettera da Roberto II, Duca di Parma, in cui il Principe diceva di aver studiato i documenti del caso e che i diritti dell’Infante Don Alfonso erano secondo lui palesi. E in simili termini si espressero anche l’Infante Don Jaime e Dom Duarte, Duca di Braganza.
Il 14 marzo 1962 Don Juan, Conte di Barcellona, nella sua qualità di Capo della Real Casa di Spagna, scrisse al Principe Ranieri per persuaderlo a desistere dalle proprie intenzioni; ma questi gli rispose negativamente. Lo stesso giorno l’allora Principe delle Asturie Don Juan Carlos, erede al trono di Spagna, scrisse al Luogotenente dell’Ordine di Malta per protestare contro l’accettazione da parte del Gran Cancelliere di quell’Ordine della Croce di Balì dell’Ordine Costantiniano concessagli dal Principe Ranieri, affermando che il Capo dell’Ordine e della Casa delle Due Sicilie era l’Infante Don Alfonso, Duca di Calabria.
A tal proposito, su di un piano meramente dinastico-nobiliare, va rilevato come la Pragmatica Sanzione del 1759 fosse stata promulgata da Carlo III in quanto Re di Spagna e Delle Due Sicilie, due dinastie inestricabilmente collegate l’una all’altra. In quanto Re di Spagna, il Re Juan Carlos I è successore di Carlo III e, di conseguenza, si considera il solo legittimato a risolvere questa controversia.
Alla fine del 1982 il Re, pertanto, ordinò a cinque dei più importanti organi dello Stato Spagnolo di esaminare con cura la successione disputata. Ognuno di questi cinque enti giunse alla conclusione che il legittimo Capo della Casa delle Due Sicilie è «S.A.R. Don Carlos de Borbón-Dos Sicilias y de Borbón-Parma, Duque de Calabria» e tale verdetto venne comunicato all’interessato dal Marchese di Mondéjar, Ministro della Real Casa, con lettera datata 8 marzo 1984.
La posizione di Don Carlos è stata ulteriormente riconosciuta e definita col Regio Decreto 16 dicembre 1994 n. 2412 che, in considerazione dell’essere Sua Altezza Reale Don Carlos di Borbone Due Sicilie e Borbone Parma, rappresentante (cioè capo) di una linea dinastica (Borbone – Due Sicilie) vincolata storicamente alla Corona spagnola, gli ha concesso la dignità di Infante di Spagna, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 3.0.2 del Real Decreto 1368/1987.
E’ importante fare attenzione alle parole usate nel decreto. S.A.R. Don Carlos è chiamato «di Borbone Due Sicilie», ciò che conferma come questo ramo non abbia mai cessato di far parte della Real Casa delle Due Sicilie, come invece sostenuto dalla linea francese. E’ inoltre indicato come «rappresentante di una linea dinastica» e questo in quanto discendente maschio primogenito della Famiglia, il che spiega perché in lui e solo in lui concorrano quelle «circostanze eccezionali» che hanno motivato la concessione regia, che quindi può essere considerata un definitivo riconoscimento della sua qualità di Capo di questa linea.
8 11, 2011

LA I.O.H. DE CARLOS V RECIBE NUEVOS MIEMBROS EN SOLEMNE CEREMONIA, A CELEBRAR EN EL ALCAZAR DE SEGOVIA.

Por |2020-11-13T03:47:26+01:00martes, noviembre 8, 2011|

A las 19.30 horas del día 12 de este noviembre, en el Alcázar de Segovia, se celebrará el acto de recibimiento de nuevos miembros que patrocina la “Imperial Orden Hispánica de Carlos V”.
Una vez finalizada la ceremonia, sobre las 21.00 horas, se servirá un cocktail, seguido de una cena en el Hotel Cándido, cerrándose los actos con un baile de gala.
Como todos sabemos la I.O.H. de Carlos V, es una Hermandad de Caballeros y Damas, unidos por su devoción a Santa Bárbara y a la Monarquía Universal Hispánica, instituida en honor del César Carlos.
Invitación al acto.
En la actualidad, agrupa a miembros de uno o de otro lado del Atlántico. Como ya hemos comentado en varias ocasiones, sus investiduras anuales en El Alcázar de Segovia o en el Monasterio de San Jerónimo de Granada, constituyen una de las más brillantes fiestas sociales que se celebran en España. Augurando los patrocinadores de este blog un gran éxito a la investidura a la que estamos dedicando esta entrada.
7 11, 2011

SUCCESSIONE DINASTICA E LEGITTIMO GRAN MAGISTERO DELL’ORDINE COSTANTINIANO (II).

Por |2020-11-13T03:47:26+01:00lunes, noviembre 7, 2011|

ESEGESI STORICO-GIURIDICA SULLE DISPUTE DINSTICHE DELLA REAL CASA DI BORBONE-DUE SICILIE.
Por D. Pino Zingale.
Amas de D. Pino Zingale.
(Blasón extraido del Armorial de esta Casa Troncal).
SEGUNDA PARTE.
LA POSIZIONE DELLA CORONA DI SPAGNA IN ORDINE ALLA SUCCESSIONE DINASTICA DEI BORBONE-DUE SICILIE ED AL LEGITTIMO GRAN MAGISTERO COSTANTINIANO.
Se per il ramo parmense dell’Ordine, legato ai diritti dinastici dei Borbone-Parma, non si sono mai posti particolari problemi in ordine alla legittima successione e, come già detto, la Repubblica Italiana (erede dei cessati stati sia di Parma e Piacenza che delle Due Sicilie) non ha avuto grandi difficoltà a riconoscere in capo al Principe Don Carlo Ugo la qualità di capo della ex Casa Ducale e la titolarità della fons honoris, ben diverso è stato lo sviluppo delle vicende relative all’individuazione della legittima fons honoris per il Gran Magistero per il cessato Regno delle Due Sicilie, in ragione delle controversie dinastiche che in tempi relativamente recenti hanno toccato la ex Casa Reale di Borbone-Due Sicilie.
La posizione del Re di Spagna, unico Borbone tuttora regnante e titolare del ceppo principale della famiglia, della quale quello delle Due Sicilie costituisce storicamente, per così dire, una diramazione, invero è stata da sempre assolutamente chiara ed in favore della legittimità, quale capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie, dell’Infante Don Carlos, Duca di Calabria.
Sin dal marzo 1984, infatti, la Casa Reale di Spagna ha riconosciuto, come unico legittimo Capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie e Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano, S.A.R. Don Carlos, in conformità ai pareri resi sul punto dal Ministero di Giustizia spagnolo, dalla Reale Accademia di Giurisprudenza e Legislazione di Spagna, dal Ministero degli Affari Esteri spagnolo, dall’Istituto «Salazar y Castro» del Consiglio superiore delle Investigazioni Scientifiche di Spagna e dal Consiglio di Stato del Regno di Spagna, tutti conformi nel ritenere che alla linea primogenita, alla quale appartiene Don Carlos, spetti tuttora la titolarità di Capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie.
Lo stesso Re di Spagna Jan Carlos I (che è egli stesso, insieme alla Regina Sofia, membro del c.d. ramo spagnolo dell’Ordine Costaniniano), proprio in considerazione del riconoscimento in capo a Don Carlos della qualità e dei titoli di rappresentante della Casa di Borbone – Due Sicilie (che costituisce uno dei rami della Famiglia dei Borbone attualmente regnante in Spagna), con decreto del 16 dicembre 1994, n. 2412 gli ha pure conferito il titolo e la dignità di Infante di Spagna, unico principe, in atto, a godere di tale privilegio sovrano nell’ambito dell’ordinamento statuale spagnolo.
Il Re di Spagna con l’Infante Don Carlos di Borbone-Due Sicilie e Borbone-Parma.

A ciò si aggiunga che già il 14 marzo 1962 Don Juan, Conte di Barcellona, nella sua qualità di Capo della Real Casa di Spagna (qualità che conservò per un breve periodo anche quando il proprio figlio Don Juan Carlos divenne Re di Spagna a seguito della morte del Generalissimo Francisco Franco), scrisse al Principe Ranieri, capo del ramo ultrogenito ribelle della Famiglia di Borbone-Due Sicilie, per persuaderlo a desistere dalle proprie intenzioni, ricevendone un diniego. Lo stesso giorno, l’allora Principe delle Asturie Don Juan Carlos, erede al trono di Spagna, scriveva al Luogotenente (all’epoca il S.M.O.M. era privo di Gran Maestro) dell’Ordine di Malta per protestare contro l’accettazione da parte del Gran Cancelliere di quell’Ordine della Croce di Balì dell’Ordine Costantiniano concessagli dal predetto Principe Ranieri, affermando che il Capo dell’Ordine e della Casa delle Due Sicilie era l’Infante Don Alfonso, Duca di Calabria.
Non va poi trascurato, per il rilievo che tale circostanza assume, come la più alta nobiltà spagnola sia sempre stata, in modo quasi del tutto compatto, schierata in favore dell’Infante Don Carlos.
LA POSIZIONE DELLA SANTA SEDE E DELLE PRINCIPALI CASE REALI EUROPEE E DEL S.M.O.M. SULL’ORDINE COSTANTINIANO E SULLA SUCCESSIONE DINASTICA DEI BORBONE-DUE SICILIE.
Il primo Pontefice che approvò e confermò l’Ordine Costantiniano fu Callisto III nel 1453, quando i Prìncipi Comneno e i Cavalieri, che avevano lasciato Costantinopoli dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente nelle mani dei turchi, si rifugiarono in Italia. Da allora tanti Sommi Pontefici confermarono l’Ordine Costantiniano, concedendo benefìci e protezione: Innocenzo VIII, Pio II, Sisto IV, Leone X, Paolo III, Giulio III, Paolo IV (che con Bolla «Cum a Nobis petitur» confermò tutti gli antichi privilegi ai Gran Maestri dell’Ordine, ricordando peraltro la protezione accordata dai suddetti suoi predecessori), Pio IV (che con «Motuproprio» del 13 novembre 1565 dichiarò i Cavalieri dell’Ordine Costantiniano capaci di usufruire di benefici ecclesiastici), Gregorio XIII (il 10 ottobre 1576 la Congregazione del Concilio riconobbe che i Cavalieri dell’Ordine Costantiniano costituivano una vera religione, in grado di ottenere privilegi ecclesiastici e secolari), Sisto V, Clemente VIII, Gregorio XV, Urbano VIII, Alessandro VII, Clemente X, Innocenzo XI, Innocenzo XII, che, con Breve «Sinceræ Fidei» del 24 ottobre 1699 autorizzò il passaggio del Gran Magistero del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio dal «solus superstes» dei Comneno, il Principe Giovanni Andrea Angelo Flavio, al Duca Francesco I Farnese. Clemente XI, che era stato Cardinal protettore dell’Ordine, con Bolla del 12 luglio 1706, approvò gli Statuti Farnesiani dell’Ordine Costantiniano e riconobbe tutti i privilegi finora accordati dai suoi predecessori aggiungendone di nuovi, e con Bolla «Militantis Ecclesiæ» del 27 maggio 1718, felicitandosi con i Cavalieri Costantiniani per aver condotto 2000 fanti in Dalmazia contro i turchi, pose l’Ordine sotto la protezione della Santa Sede, accordò privilegi abbaziali al Gran Priore, le insegne della prelatura al clero e varie altre prerogative.
Altri privilegi furono concessi da Benedetto XIII e Innocenzo XIII. Poi, con Bolla 12 maggio 1738, Clemente XII confermò la dignità di Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano nella persona di Carlo di Borbone, Re di Napoli e Sicilia, quale Primogenito Farnesiano.
Papa Callisto III Borgia.

Altri privilegi furono poi concessi da Clemente XIII (che stabilì che un eventuale conflitto fra il Magistero Costantiniano e l’Autorità Ecclesiastica sarebbe si sarebbe dovuto risolvere solo dinanzi alla Camera Apostolica), Pio VI (che concesse all’Ordine alcuni benefici del soppresso Ordine di S. Antonio), Pio VII, Pio VIII, Gregorio XVI (che concesse a Re Ferdinando II di erigere, quale ex-voto, la Basilica di S. Francesco di Paola in Napoli), dal Beato Pio IX, da San Pio X (che con «Placet» del 22 marzo 1911 approvò la erezione della Chiesa abbaziale di Santa Maria a Cappella – detta «delle Crocelle» – a Napoli quale sede dell’Ordine; inoltre concesse in altre occasioni ulteriori privilegi), da Benedetto XV (che restituì all’Ordine la Chiesa abbaziale Curata di S. Antonio Abate in Napoli; il 9 luglio 1919 inoltre approva le variazioni apportate agli Statuti dell’Ordine dal Gran Maestro il Principe Alfonso Maria di Borbone delle Due Sicilie, Conte di Caserta).
Papa Clemente XIII.

A seguito dell’insorgere delle dispute dinastiche all’interno della Casa Reale delle Due Sicilie la Santa Sede, però, non ha più nominato il Cardinale Protettore e non ha più ufficialmente confermato i Gran Maestri al momento della loro successione.
Tale atteggiamento è ben lungi, ovviamente, dal potere integrare un disconoscimento dell’Ordine quale ente di diritto canonico oltre che patrimonio araldico della primogenitura farnesiana, anche se alcune prese di posizione ufficiale della Segreteria di Stato potrebbero, ad un primo sommario esame, accreditare tale tesi.
Ci si intende riferire ad una serie di precisazioni sui c.d. finti Ordini Cavallereschi.
Una delle ultime precisazioni è quella riportata sull’Osservatore Romano del 4 luglio 2002 (di recente confermata con una nota interna della Segreteria di Stato agli Ordinari con specifico riferimento al c.d. Ordine Templare) con la quale la Santa Sede ribadiva che, oltre ai propri Ordini Equestri, riconosceva e tutelava due soli Ordini Cavallereschi: il Sovrano Militare Ordine di Malta e l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Sull’Osservatore Romano del 9 aprile 1970 era stato a suo tempo precisato che « la Santa Sede, oltre ai proprio Ordini Equestri, riconosciuti dal Diritto Internazionale, considera come cattolici – e tutela – due soli Ordini Cavallereschi: il Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Malta, e l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tutti gli altri Ordini – di nuova istituzione o fatti derivare da quelli medievali – non sono riconosciuti dalla Santa Sede, non potendosi questa far garante della loro legittimità storica e giuridica, delle loro finalità e dei loro sistemi organizzativi».
Peraltro già nel 1952, sull’Osservatore Romano del 21 marzo, era stato precisato che «da qualche tempo si avverte il deplorevole fenomeno del sorgere di pretesi Ordini cavallereschi ad opera di iniziative private, che hanno il fine di sostituirsi alle forme legittime di onorificenze cavalleresche. Come altre volte già si è avvertito, questi sedicenti Ordini assumono il loro nome sia da Ordini realmente esistenti ma da secoli estinti, sia da Ordini rimasti allo stato di progetto, sia infine da Ordini veramente fittizi e non hanno mai avuto qualsiasi precedente nella storia. Per maggior confusione di idee poi da coloro, che ignorano la vera storia degli Ordini Cavallereschi e la loro evoluzione giuridica, a queste iniziative private, che si dichiarano autonome, vengono anche attribuite qualifiche, che ebbero la loro ragione di essere nel passato, o che furono proprie di Ordini autentici, approvati a suo tempo dalla Santa Sede. Perciò, con una terminologia quasi monotona, questi così detti Ordini si attribuiscono, chi più chi meno, il titolo di Sacri, Militari, Equestre, Cavallereschi, Costantiniani, Capitolari, Sovrani, Nobiliari, Religiosi, Celesti, Angelici, Lascaridi, Imperiali, Reali, Delcassiani ecc. Nell’ambito di tali iniziative private, che non hanno in alcun modo una approvazione o un riconoscimento qualsiasi dalla Santa Sede, si possono annoverare i cosidetti Ordini di Santa Maria o Nostra Signora di Betlemme, San Giovanni d’Acri detto anche semplicemente di San Giovanni Battista, San Tommaso, San Lazzaro, San Giorgio di Borgogna detto anche del Belgio o di Miolans, San Giorgio di Corinzia, Costantiniano Lascaride Angelico Ordine della Milizia Aurata, della Corona di Spine, del Leone della Croce Nera, di Sant’Uberto di Lorena o di Bar, della Concordia, di Nostra Signora della Pace. A tutti questi e altri simili cosiddetti Ordini Cavallereschi con le annesse Associazioni di Croce d’Oro, d’Argento, Azzurre ecc. più o meno internazionali, devono certamente aggiungersi quelli che con qualcuno degli appellativi su accennati hanno assunto il titolo dalla Mercede, da Santa Brigida di Svezia, da Santa Rita da Cascia, dalla Legion d’Onore dell’Immacolata, da San Giorgio d’Antiochia, da San Michele, da San Marco, da San Sebastiano, da San Guglielmo, dallo storico e non più esistente Ordine del Tempio, dall’Aquila Rossa di San Cirillo di Gerusalemme ecc. Ad evitare equivoci purtroppo possibili, anche a causa dell’uso indebito di documenti pontifici o ecclesiastici, già rilasciati per fini religiosi, o per Ordini semplicemente monastici, e ad impedire la continuazione di abusi, che poi risultano a danno di molte persone di buona fede, siamo autorizzati a dichiarare che la Santa Sede non riconosce alcun valore ai diplomi e alle relative insegne, che siano rilasciati da cosiddetti su indicati Ordini».
Analoghe prese di posizione erano state già registrate sull’Osservatore Romano del 1° giugno 1933 (con riferimento al c.d. Ordine di Santa Maria di Bethleem) e su quello del 25 agosto 1938.
Stessa dichiarazione è riportata sull’Osservatore Romano del 15-16 aprile 1935 a proposito dell’Ordine di San Lazzaro – ramo di Boigny, ramo francese dell’antico Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme, il cui ramo italiano venne fuso nel 1572 con l’Ordine di San Maurizio.
In quell’occasione la Santa Sede precisò pure che “non tutti sono tenuti a sapere che gli antichi Ordini Cavallereschi erano dei veri e propri Ordini Religiosi, dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica, come ogni altro Ordine religioso, e costituiti da professi che emettevano i voti sacri prescritti dalle Regole, e godevano i redditi dei benefici ecclesiastici di cui erano investiti. Ma questi antichi Ordini non hanno di comune se non il loro antico titolo (quando questo è stato conservato) con le moderne decorazioni Equestri, le quali per una completa trasformazione giuridica del primitivo istituito possono sussistere in quanto un Sovrano o Capo di Stato nei limiti della propria giurisdizione dia ad esse la legittima consistenza civile”.
Orbene mai nessuno di questi comunicati ha fatto riferimento all’Ordine Costantiniano né mai la Santa Sede ha revocato i numerosi atti con i quali, nei secoli, ha sempre riconosciuto ed approvato l’Ordine.
Peraltro lo stesso Stato italiano, dopo l’unificazione, ha in più occasioni riconosciuto la sussistenza quale organismo autonomo di diritto canonico dell’Ordine Costantiniano, come peraltro affermato ed espressamente affermato dal Consiglio di Stato italiano nel proprio parere del 26 novembre 1981, n.1869/81.
Inoltre un numero elevatissimo di Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e Prelati di ogni tipo hanno sempre militato e militano nelle fila dell’Ordine Costantiniano, circostanza che risulterebbe alquanto singolare laddove l’Ordine non fosse approvato dal Romano Pontefice o, peggio, considerato illecito ed è, invero, ben difficile sostenere, in presenza di una vasta e qualificata presenza di Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, che la Chiesa Cattolica non riconosca l’Ordine Costantiniano di San Giorgio quanto meno come una pia e meritoria istituzione.
La posizione della Santa Sede sul Gran Magistero dell’Ordine Costantiniano è stata sempre condizionata dalla circostanza che la disputa dinastica tocca una delle più tradizionali e cattoliche dinastie regnanti, quella dei Borbone (i Sovrani spagnoli hanno, come è noto, il titolo di “Maestà Cattolica”), ancorché in uno dei suoi rami non più sul trono, ma con una chiara presa di posizione da parte del più importante ramo ancora regnante, quello spagnolo, apertamente schierato in favore del ramo primogenito dei Borbone Due Sicilie “spagnolo”, facente capo all’Infante di Spagna Don Carlos, a fronte dell’altro ramo, quello francese, fortemente spalleggiato da gran parte della nobiltà napoletana e siciliana, in realtà, di recente, sempre meno compatta su tali posizioni, come dimostra la presenza, ormai, nelle fila del ramo spagnolo, di grandi nomi dell’antica nobiltà siciliana, come Don Pietro Lanza di Scalea, Principe di Trabia e Butera, Delegato per la Sicilia Occidentale, di Don Paolo dei Baroni Pucci dei Baroni di Benisichi, Ambasciatore d’Italia e Consigliere di Stato, Don Giuseppe Bonanno di Linguaglossa, Barone del Maeggio, Barone di Delia, Vice Presidente della Real Commissione per l’Italia e Ambasciatore del SMOM, il Marchese Narciso Salvo di Pietraganzili, Commissario dell’Associazione Cavalieri Italiani SMOM, e di quella napoletana, come il Marchese don Carlo de Gregorio Cattaneo dei Principi di Sant’Elia, Delegato per Napoli e Campania, Marchese di Squillace e del Marchese don Girolamo Carignani di Carignano, Duca di Novoli, pro-Delegato per Napoli e Campania.
Una posizione che, pur con palesi manifestazioni di apprezzamento e sottili inviti alla ricomposizione, ha trovato nell’equilibrio e nell’equidistanza il giusto punto di approdo, evitando, sino ad oggi, il maturarsi di eventuali punti di rottura.
Per quel che riguarda la posizione delle principali Case Reali la loro posizione, può dedursi “per facta concludentia”, facendo riferimento all’accettazione delle onorificenze dinastiche da parte di questo o quel concedente, situazione che tradizionalmente lo legittima quale Capo della Dinastia.
E, ovviamente, dovendosi determinare il legittimo capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie non può farsi riferimento al solo Ordine Costantiniano ma anche a quello che è considerato il supremo Ordine dinastico delle Due Sicilie e, cioè, l’Illustre Ordine di San Gennaro.
Tra i cavalieri costantiniani del ramo spagnolo si annoverano S.M. Juan Carlos I di Borbone e Borbone-Due Sicilie, Re di Spagna, S.A.R. Duarte di Braganza, Duca di Braganza, S.M. Simeone II, Tsar dei Bulgari, S.M. Costantino II, Re degli Elleni, S.A.R. Alessandro, Principe Ereditario di Yugoslavia, S.A.R. Vittorio Emanuele, Principe Ereditario e Duca di Savoia, S.A.R. Friedrich-Wilhelm, Principe di Hohenzollern, S.A.I. e R. Arciduca Simeone d’Austria, Principe Reale d’Ungheria e Boemia, S.A.I. e R. Arciduca Josef-Arpád d’Austria, Principe Reale d’Ungheria e Boemia, S.A.I. e R. István Franz, Arciduca d’Austria, Principe Real di Ungheria e Boemia, S.A.R. Dom Miguel de Bragança, Duca di Viseu, S.A.S. Principe Johann-Georg di Hohenzollern e S.A. Eduard, Duca di Anhalt.
Tra i cavalieri dell’Illustre Ordine di San Gennaro rileviamo, poi, rileviamo sempre la presenza di sempre di S.M. il Re di Spagna, di S.M. il Re dei Bulgari; di S.A.R. il Duca di Braganza, ed inoltre di S.A.I. e R. Otto d’Absburgo Lorena.
Per concludere uno sguardo alla posizione del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Ufficialmente il S.M.O.M. non è schierato per nessuno dei due contendenti e tra i suoi vertici si registrano, in egual misura, appartenenti ai due rami del Costintianiano.
Significativa, tuttavia, la circostanza che il Gran Maestro del S.M.O.M. S.A.E. Fra’ Matthew Festing – da anni membro del ramo c.d. francese dell’Ordine Costantiniano e che appena il 15 ottobre 2009 aveva ricevuto il Collare dell’Ordine Costantiniano e le insegne di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, sempre conferitegli dal capo di quel ramo della Famiglia – il 6 ottobre 2010, nel ricevere il Principe Don Pedro di Borbone_Due Sicilie e nel conferirgli il rango di Balì Gran Croce di Onore e Devozione, abbia sentito l’esigenza, nel discorso ufficiale, di precisare che l’alta dignità gli veniva conferita “nella qualità di duca di Noto e Gran Prefetto del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio”: se non si tratta di un riconoscimento ufficiale poco ci manca.
6 11, 2011

SE DESARROLLARON CON BRILLANTEZ LOS ACTOS EN GANDÍA, PROMOVIDOS POR EL REAL GREMIO DE HALCONEROS Y EL AYUNTAMIENTO DE LA CIUDAD.

Por |2020-11-13T03:47:26+01:00domingo, noviembre 6, 2011|

Ni la gota fría que sufrió Gandía pudo con los halconeros que celebraron una de las ceremonias más completas de su historia reciente. La concurrencia no desmereció la ocasión, y la corporación municipal en pleno, así como otras autoridades provinciales acudieron al ayuntamiento para recibir a los distinguidos componentes del Real Gremio de Halconeros, presididos por su halconero mayor, Excmo. Sr. D. Antonio de Castro García de Tejada. Tras unas palabras de agradecimiento por parte de D. Arturo Torró, Alcalde de Gandía y un intercambio de regalos, la comitiva, en formación, abandonó el Ayuntamiento para dirigirse a la Colegiata Insigne de Gandía donde les esperaba el Rvdmo. e Ilmo. Sr. Abad Mitrado. Tras los protocolarios saludos en el pórtico de la Colegiata la comitiva, acompañada por los acordes del órgano, que interpretaba en ese momento una pieza del maestro del renacimiento español Tomás Luis de Victoria, hizo su entrada encaminándose, cruzando la vía sacra, hasta sus respectivos asientos.
D.Antonio de Castro y García de Tejada, Halconero Mayor, en un momento de la ceremonia, acompañado de otros Halconeros.
Tras la celebración de la Santa Misa concelebrada por cinco señores sacerdotes, el Halconero Mayor realizó la ofrenda al santo duque de Gandía:
«Santo Francisco de Borja, Patrón, Luz y Guía de Gandía y de la Nobleza Española. Tú que ocupando por tu sangre y por tus muchas cualidades los más altos cargos que a un mortal le pueden ser concedidos. Tú que gozando de la confianza de tus señores en la tierra alcanzaste poder y riqueza. Tú que tras abandonar la vida del mundo con sus vanidades decidió dedicarse sólo a Dios en la Compañía de Jesús ; guíanos ahora y condúcenos por la senda de la tolerancia y la solidaridad, que son los cimientos del amor fraterno.
Santo duque de Gandía intercede ante el Todopoderoso para que no olvide a sus hijos y nos ayude a caminar por la vida con alegría, con esperanza y con humildad. Ayúdanos a entender el mensaje que Cristo nos dejó con su sacrificio. Limpia nuestros corazones y nuestra mente para que podamos apreciar con claridad el amor que Dios profesa a sus hijos.
Reunidos con la comunidad de fieles, venimos los halconeros del rey para, en nombre de todos los halconeros de España cantar y ensalzar -con el vuelo de nuestros halcones-, la santidad de tu nombre.
Como depositarios del ejercicio de una actividad ancestral, que tú practicaste y de la cual fuiste maestro y defensor como forma de acercarse a Dios, apreciando la belleza de la Creación, venimos a ti para dar testimonio de fe. Porque el que ama lo creado, ha de amar, sabiéndolo o no, al Creador.
Considera, por último, que el vuelo y cuidado de nuestras aves de presa, es nuestra ofrenda… y que cada vez que atónitos ante la belleza de un halcón, picando, cortando con destreza precisa el cielo azul de las tierras de España; alabamos al Señor nuestro Dios, por habernos permitido pasar por esta vida terrenal… como Halconeros.
Santo duque Francisco de Gandía, patrón de la ciudad y de la Nobleza española, acógenos bajo tu manto protector e ilumina a S.S. el Papa Benedicto para que conceda a los halconeros españoles tu santo patronato.
Para mayor gloria de Dios Padre, Hijo y Espíritu Santo; Santo Francisco de Borja, recibe hoy nuestra oración y ofrécela de tu mano al que todo lo puede para que siempre proteja el vuelo de nuestros halcones.»
“ Domine Iesu Christe, filius Deus,
creator omnium, visibilium et invisibilium.
Protege, quaeso, meum falconem
ab ungulis feris aquila et
a globo plumbeo vecordis scloppetarii.
Amen”.
Texto y oración del Halconero Mayor del Reino, Antonio de Castro García de Tejada.
Traducción al latín realizada por el Rvdo. Padre don Tirso Alesanco Reinares, desde el Monasterio de San Millán de la Cogolla (La Rioja).
El Halconero Mayor junto a varios invitados a los actos.
 
Tras la ceremonia religiosa que se vió realzada en su solemnidad por el acompañamiento del órgano y de la Coral de Gandía, los Halconores se desplazaron junto con la corporación y los invitados al palacio ducal donde se desarrolló la ceremonia civil de recibimiento de nuevos halconeros.

Hermosas imágenes durante el acto religioso.

En esta ocasión el acto se vió realzado con el acompañamiento de la banda municipal de música de Gandía quienes interpretaron la Marcha Real en el momento en que hizo su entrada la enseña nacional en la sala de coronas donde esperaban todos los asistentes. Tras una sencilla ceremonia en la que los nuevos halconeros, entre ellos el alcalde de la ciudad, juraron fidelidad al rey y a España el halconero Mayor ofreció a los asistentes el siguiente discurso:

» Excmas e Ilmas. señoras, señores y autoridades, queridos halconeros, queridos amigos:
A un año vista de celebrar el décimo aniversario de la recuperación por parte de S.M. el Rey del antiguo Gremio de Halconeros de la Real Caza de Volatería nos reunimos en la ciudad de Gandía en capítulo especial para, no sólo recibir nuevos halconeros sino para presentar solemnemente con la ciudad como testigo y además, como madrina de excepción, la solicitud al Santo Padre para que designe a San Francisco de Borja como patrón y protector del Real Gremio de Halconeros y de la cetrería española.
Siempre me gusta recordar que este Gremio, como heredero del antiguo gremio de halconeros de la Real Caza de Volatería , de origen inmemorial, representa en la actualidad la más antigua agrupación de cazadores, que goza de la protección y patronazgo de un Jefe de Estado.
Doy la bienvenida, en nombre del Real Gremio, a todos los nuevos halconeros, especialmente al Excmo. Sr. alcalde de Gandía, que tan generosamente se ha portado con el Gremio. Para mi será un honor informar a S.M. el rey, nuestro patrono Mayor perpetuo de las atenciones que esta ciudad ha tenido con nosotros. También a nuestro amigo Ramón, reconocido cetrero valenciano que tanta ilusión y empeño puso en no sólo formar parte del Gremio sino también en que su ingreso se hiciera efectivo en su ciudad, la cuna de un santo universal, como lo es San Francisco de Borja quien como todos los que conocen su biografía saben, fue un magnífico cetrero y aún más un distinguido defensor de los altos valores espirituales que adornaban y adornan a la cetrería.
No puedo olvidar al Excmo. Sr. D. Antonio Sánchez de León, presidente del consejo de gobernadores, valenciano de pro quien, con su espíritu emprendedor ha resultado imprescindible para el éxito de estas celebraciones. A nuestro maestro de ceremonias, don Emilio Mora, a nuestro grupo de honores, a los halconeros gobernadores que nos han acompañado. A la orden de caballería del Santo Sepulcro, al Ilustre Solar de Tejada, al Cuerpo de la Nobleza de Valencia, al de Asturias, a todas las autoridades, al pueblo de Gandía, a todos los que han participado y hecho posibles esta ceremonia…, muchas gracias.
Relata Fray Diego de Niseno, en su Vida de San Francisco de Borja, como el duque habiendo profesado ya en religión sólo dos entretenimientos se permitía como alivio de sus muchas responsabilidades: la música sacra de canto de órgano, de la que fue verdadero maestro y la cetrería. Cuando cortesano acompañó infinidad de veces a su primo el emperador Carlos, que también fue un grandísimo aficionado a la caza con halcones. Y disfrutó de la cetrería como actividad cinegética y sano esparcimiento, tenido en la época como preparación para la guerra, por lo sutil de las estrategias que se debían desarrollar para culminar con éxito el lance y, al tiempo, por la formación del carácter de los jóvenes cetreros, pues esta actividad los hacía sanos y esforzados, alejándolos de la vida licenciosa de la corte. La cetrería fue y es, una actividad para hombres curtidos en el esfuerzo y al tiempo en la medida. Dice un aforismo popular cetrero que: en cetrería y amores por un placer mil dolores. Y añado yo, que la cetrería es un arte en el que triunfa en todo una virtud: la medida, que sólo es desdeñada por la pasión desmedida con la que los halconeros nos desvivimos en practicarla.

Pero el Santo Duque, andando el tiempo, habiendo dejado ya la vida de la corte, apreció en la cetrería otras virtudes y tomaba la caza para su aprovechamiento espiritual y para gozar más de la soledad y libertad del campo y tener más ocasión de contemplar y conocer al Criador en sus criaturas; y por las cosas visibles subir á las invisibles y eternas; y así decía él: que Dios nuestro Señor le había hecho muchas mercedes y regalos en el campo y dándole maravillosas consideraciones practicando la cetrería. Y decía, a decir de fray Diego, que estando ya en la Compañía de Jesús que: la cosa que más sintió dejar al abandonar la vida de los laicos fue la caza con halcones pues muchos beneficios espirituales le había concedido.
No es por tanto difícil entender la razón por la cual solicitaremos de S.S. el Papa la designación de San Francisco de Gandía como patrono de la cetrería española. Más aún tras la declaración por parte de la UNESCO del arte de cetrería como Patrimonio Cultural Inmaterial de la Humanidad, pues inmateriales son muchos de los beneficios que los halconeros encontramos en la práctica de esta actividad, que nos recuerda que el hombre, una vez, vivió integrado en la naturaleza y que esa naturaleza nos la entregó Dios como el bien más preciado, el hogar donde el alma y el cuerpo pueden desarrollarse unidas y vislumbrar, no sin esfuerzo, al Padre, a Aquel del que todo procede. Un bien que el hombre, hasta la fecha, no ha aprendido a preservar. Pues bien triste es que el ser humano, en su camino hacia el progreso y hacia el bienestar no haya podido encontrar el equilibrio entre sus necesidades y la conservación de la tierra, el lugar que el Todopoderoso ofreció al hombre para que, unidos cuerpo y alma, pudiera preparase esta última para conocer y gozar tras el tránsito terrenal de la plenitud y gozo eterno de Su divina esencia.
La cetrería es una actividad que se desarrolló con todo su esplendor en los antiguos reinos de la España medieval. En esa España universal y milenaria, que una vez dominó el mundo y bajo cuyo cielo azul los halcones se hacen altaneros y en un fugaz arabesco se entrelazaron con la santidad de San Francesc de Gandía y los versos del gran Ausias March; renovador de la literatura valenciana y halconero Mayor de Alfonso el Magnánimo, rey de Aragón. Por eso siempre me oiréis repetir que los halconeros estamos más cerca de Dios porque siempre nos encuentras mirando al cielo.
Esa cetrería sutil y magnífica adornada por altos valores culturales, diplomáticos y medioambientales es la que ha sido declarada recientemente Patrimonio Cultural de la Humanidad. El Real Gremio de Halconeros, como singular expresión cetrera, pasa de esta manera a formar parte, por tanto, de ese distinguido Patrimonio Cultural de la Humanidad que los Estados, la Administración y los ciudadanos tienen la obligación de preservar el idealismo, el amor a España, el interés por su historia, sus instituciones, por sus variadas y riquísimas tradiciones, nos empujó a algunos atrabajar con ilusión en la recuperación del Real Gremio de Halconeros, vinculado a la monarquía hispánica desde al menos mil años.
Nuestro esfuerzo, nuestras ilusiones, se han visto al fin recompensadas. Ofrecemos emocionados este logro a S. M. el Rey, nuestro Patrono Mayor, en la seguridad de que sabrá apreciar el compromiso que adquirimos –todos- los que a través de esta vetusta corporación hemos jurado o renovado nuestro juramento de fidelidad a Su augusta Real persona, a la Corona y a España.
Y nuestros esfuerzos y nuestras ilusiones sustentarán, junto con quien nos quiera acompañar, la solicitud al Santo Padre para que la cetrería española disfrute de la protección de aquel santo que todo lo dejó para, buscando y practicando la más rigurosa humildad, servir y agradar a Aquel que nos envió a Su hijo para que, muriendo por nosotros, pudiéramos acercarnos a intuir el camino de la salvación eterna del alma.
Muchas Gracias.»
Nuevos Halconeros.
Tras el discurso del halconero Mayor, intervino el Excmo. Sr. alcalde de Gandía quien de nuevo dió la bienvenida al Real Gremio de Halconeros y valoró muy positivamente la iniciativa de solicitar al Santo Padre la declaración de San Francisco de Borja como patrón de la cetrería. Ofreció para el efecto tanto su apoyo personal como el de la corporación municipal y expresó su admiración ante la importante labor cultural que el Real Gremio de Halconeros ha venido realizando desde su recuperación. Felicitó públicamente y con gran efusividad al halconero Mayor por su incansable labor en la promoción de los valores culturales y diplomáticos de la cetrería, actividad que fue declarada el pasado año Patrimonio cultural inmaterial de la Humanidad por la UNESCO. Tras la ceremonia, el Real Gremio de Halconeros ofreció a todos los asistentes un vino español que fue amenizado por la banda municipal.
Crónica de Francisco de Borja Salazar Bergaz.
5 11, 2011

SUCCESSIONE DINASTICA E LEGITTIMO GRAN MAGISTERO DELL’ORDINE COSTANTINIANO (I).

Por |2020-11-13T03:47:27+01:00sábado, noviembre 5, 2011|

ESEGESI STORICO-GIURIDICA SULLE DISPUTE DINSTICHE DELLA REAL CASA DI BORBONE-DUE SICILIE.
Queremos dedicar nuestra entrada de hoy, a publicar la Primera Parte de un texto, que hemos dividido en tres, escrito por la magistral mano del Sr. D. Pino Zingale, Cosigliere della Corte Dei Conti Italiana , Académico Correspondiente de la Academia de Jurisprudencia y Legislación de España y Caballero Honorario de esta Casa Troncal.
Esta serie que constará de tres entradas, la queremos publicar en su idioma original, tal como nos la remitió el Sr. Zingale.
Armas del Caballero Pino Zingale.
(Blasón extraido del Armorial de esta Casa Troncal).
PRIMERA PARTE.
NOTA STORICA SULL’ORDINE COSTANTINIANO.
Secondo la tradizione, l’istituzione dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio si farebbe risalire all’imperatore Costantino il Grande ed alla battaglia del ponte Milvio del 312 d.C., con la grande vittoria sulle forze pagane di Massenzio e la conversione dell’Imperatore Romano alla fede cristiana.

L’Imperatore Costantino alla battaglia del Ponte Milvio

Tuttavia sembrerebbe più corretto collocare la nascita dell’Ordine Costantiniano, come Ordine Equestre Militare, ad opera degli Imperatori Romani d’Oriente e, più precisamente, di Isacco Angelo Flavio Comneno, il quale riformò – e si tratta del più antico documento sull’Ordine conosciuto – gli antichi statuti nel 1190, chiamandolo, appunto, “Costantiniano” per ribadire la diretta discendenza dei Comneni dall’Imperatore Costantino il Grande, “Angelico” in omaggio a se stesso come riformatore, “di San Giorgio” in quanto milite e patrono della cavalleria.
Il Gran Maestro Antonio Angelo Flavio Comneno.

L’Ordine successivamente ricevette la conferma di Ordine Religioso e Militare dai Pontefici Romani che appoggiarono sempre le pretese dei Principi Angelo in esilio, vedendo in loro potenziali capi nella lotta contro i Turchi ed il mezzo per ristabilire nelle terre già bizantine, in caso di restaurazione dell’Impero, la comunione con la Chiesa Romana, tant’è che i Comneno ne conservarono il Gran Magistero, con il placet della Santa Sede, anche dopo essere stati detronizzati e dopo la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto, allorché nel 1453 furono uccisi, assieme all’Imperatore Paolo Angelo Flavio Comneno, XXXII Gran Maestro dell’Ordine, seicento Cavalieri Costantiniani.
L’Ordine Costantiniano è attualmente uno dei due grandi Ordini Militari Cattolici sopravvissuti ad avere un Gran Magistero ereditario (l’altro è l’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire legato alla Casa Gran Ducale di Toscana e, quindi, ai Medici, prima, ed agli Asburgo-Lorena, poi), prima legato alla Famiglia Farnese, che lo aveva ereditato, a sua volta, dall’ultimo membro della Famiglia Imperiale d’Oriente degli Angeli-Comneno nel 1697, e che dal 1731, estintisi i Farnese, è vincolato, invece, alla Famiglia di Borbone discendente da Filippo V di Spagna e da sua moglie Elisabetta Farnese.



Fra Galgario, Ritratto di cavaliere Costantiniano, 1740 ca.

Prima del 1698 la sua sede amministrativa era a Venezia e la sede del Gran Magistero era fissata presso quella dei suoi Gran Maestri. Dal 1698 sino al 1768 ebbe sede a Parma, ed ancora presso il Gran Maestro che fissò la sua residenza a Napoli nel 1734. L’amministrazione fu trasferita a Napoli e l’amministrazione separata dell’Ordine di Parma cessò definitivamente nel 1780.
Durante il periodo dell’occupazione francese, dal 1797 al 1799 e dal 1806 al 1815, l’amministrazione rimase sempre a Napoli, sino alla cessazione del Regno delle Due Sicilie nel 1860-61. Francesco II, deposto Re delle Due Sicilie e Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano, allora si ritirò in esilio presso il Palazzo Farnese a Roma, da dove continuò ad esercitare il Gran Magistero dell’Ordine.
L’amministrazione rimase nominalmente a Roma fino al 1960, quando il Gran Maestro pro-tempore la trasferì in Baviera ed Cannes; per converso una cappella costantiniana fu costruita nella Basilica di Santa Croce al Flaminio e venne consacrata dal Papa Benedetto XV: questa cappella è in atto affidata alle cure del c.d. ramo “spagnolo” dell’Ordine.
La preponderanza dei membri del Sud Italia contribuì a fare dell’Ordine Costantiniano una vera e propria istituzione del Regno delle Due Sicilie (nonostante le rivendicazioni dei Borboni di Parma legate al fatto che dopo il trattato di Vienna del 1815, il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu dato in sovranità, vita natural durante, all’Arciduchessa Maria Luigia, ex Imperatrice dei Francesi, la quale, il 23 agosto del 1816, si dichiarò Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano, fondandosi sulla sua diretta discendenza dalla Casa Farnese e per non far rinascere le antiche dispute suscitate dalla questione della titolarità del Gran Magistero, fu stabilito che l’Ordine Costantiniano di San Giorgio sarebbe stato conferito, sino alla morte di Maria Luigia, dal Re delle Due Sicilie e dal Duca di Parma; ma alla morte di Maria Luigia le successe Carlo Lodovico di Borbone, già Duca di Lucca, il quale prese il nome di Carlo II e si dichiarò Gran Maestro dell’Ordine; per cui questo continuò ad essere conferito dalle due Corti di Napoli e di Parma.), includendo fra i suoi membri i più alti membri della nobiltà di quello Stato.
L’Arciduchessa Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, con le insegne di Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano.

Nonostante ciò la Corona delle Due Sicilie ed il Gran Magistero Costantiniano rimasero giuridicamente e formalmente del tutto indipendenti, ancorché, di fatto, riuniti nella stessa persona del Re il quale era aduso attribuire le più importanti commende dell’Ordine (come quella della Magione a Palermo) ai membri della Famiglia Reale.
La formale separazione tra le due qualità di capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie e di Gran Maestro Costantiniano (ancorché di fatto collegate da circa tre secoli) deriva dalla circostanza che la seconda costituisce patrimonio familiare legato alla primogenitura maschile della Dinastia Farnese. Al momento dell’estinzione di quest’ultima la successione passò, con l’appprovazione del Papa, al maschio più prossimo e, cioè, all’Infante don Carlo di Borbone e Farnese, (più tardi Carlo III di Spagna).
Nel 1759, dopo il trasferimento della Corona di Napoli e Sicilia al suo terzo figlio Ferdinando, il Gran Magistero Costantiniano fu parimenti ceduto, ma con un atto separato, dieci giorni dopo ed il giovane Re Ferdinando fu dichiarato «legittimo primogenito maschio erede dei Farnese», con ciò a volerne rimarcare l’autonomia storica e giuridica.
E’ questa la dimostrazione più evidente che la stessa Famiglia Reale considerava il Gran Magistero Costantiniano un “munus” non inerente a quella di titolare della Corona, ma ad essa solo associata per ragioni di contingenza storica che, tuttavia, non ne potevano alterare la natura di autonomo ufficio canonico comunque regolato da norme proprie, legato non alla qualità di Re delle Due Sicilie (o di Capo della Casa Reale) ma a quella di Primogenito Farnesiano.
Se così non fosse non si comprenderebbe per quale motivo Carlo III abbia ritenuto di potere mantenere per sé, non più Re delle Due Sicilie, sia pure solo per dieci giorni, il Gran Magistero dell’Ordine, dopo che il proprio figlio Ferdinando era già divenuto Re di Napoli e Sicilia, ed abbia quindi sentito la necessità di trasferirlo al nuovo Re di Napoli e Sicilia con un distinto atto, non senza averlo, però, contestualmente dichiarato “Primogenito Farnesiano”: una serie di passaggi inutili se il Gran Magistero fosse stato realmente legato alla Corona di Napoli e Sicilia.
La successione al Gran Magistero Costantiniano, peraltro, può trasmettersi solo attraverso i maschi (nonostante a Maria Luigia di Parma – solo pro bono pacis – sia stato pure riconosciuto il diritto di conferire le onorificenze costantiniane, quale Duchessa di Parma, ma non formalmente il Gran Magistero da lei, comunque, pure formalmente assunto) ed alla morte dell’ultimo maschio discendente da Carlo III esso passerebbe alla linea di Borbone-Parma.
La Corona delle Due Sicilie (oggi solo la titolarità di essa), invece, dovrebbe passare all’erede femmina più prossima all’ultimo discendente maschio di Carlo III, ciò in quanto diverse sono le leggi che disciplinano la relativa successione.
L’Ordine, in ogni caso, è regolato anche dalle leggi canoniche e la successione del Gran Magistero è governata dagli statuti del 1705 approvati dal Papa con al Bolla «Militantis Ecclesiae» del 1718, e poi confermati negli statuti del 1922 approvati con Placet papale e modificati nel 1934, 1943, 1987 e, infine, nel 2004 dall’attuale Gran Maestro.
Oggi l’Ordine è attualmente governato (per il ramo c.d. spagnolo) dal Gran Maestro S.A.R. l’Infante di Spagna Don Carlos de Borbón-Dos Sicilias y Borbón-Parma, Duca di Calabria, Capo della Casa Reale di Borbone-Due Sicilie.
I membri, prevalentemente italiani e spagnoli, includono anche portoghesi, britannici, tedeschi, francesi, svizzeri belgi, austriaci ed americani sia del nord che del sud del continente.

LA DISPUTA CON PARMA.
L’Ordine Costantiniano di San Giorgio, come già accennato, venne ceduto dall’ultimo discendente dei Comneno, senza eredi, a Francesco I Farnese, Duca di Parma e Piacenza, con atto rogato nel 1697.
Francesco I Farnese, Duca di Parma e Piacenza.

Il trasferimento del Gran Magistero ai Farnese fu approvato nel 1699 dall’Imperatore Leopoldo I e confermato dal Pontefice Innocenzo XII nello stesso anno, riconoscendo la dignità di Gran Maestro dell’Ordine ai discendenti della Casa Farnese, Duchi di Parma e Piacenza «pro tempore» (….Parmae Pacentiae ducibus pro tempore existentibus).
Nel 1700 Francesco I assunse solennemente il Gran Magistero nella Chiesa Magistrale della Steccata di Parma, che divenne, con il benestare del Pontefice, la sede conventuale dell’Ordine.
Nel 1705 il Duca promulgò i nuovi Statuti del Sacro Angelico Imperiale Ordine Costantiniano, che venero approvati dalla Santa Sede nell’anno seguente.
Papa Clemente XI nel 1718, con Bolla «Militanti Ecclesiae», sottolineò ulteriormente le doppie condizioni statutarie necessarie all’assunzione del Gran Magistero: essere discendenti dei Farnese e Duchi di Parma e Piacenza pro tempore.
Con la morte senza figli dell’ultimo Duca Antonio, fratello di Francesco, il Gran Magistero passò a Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, sorella di Antonio, e di Filippo V, Re di Spagna.
Quando Carlo di Borbone divenne Re delle Due Sicilie, cessando da Duca di Parma e Piacenza, trasferì a Napoli il Gran Magistero dell’Ordine Costantiniano, nonostante venisse meno la condizione statutaria legata alla sovranità del Ducato di Parma e Piacenza.
S.M. Carlo di Borbone.

I Duchi Filippo e Ferdinando rivendicarono energicamente per tutto il ‘700 il Gran Magistero dell’Ordine, ma senza alcun risultato perché politicamente troppo deboli per inimicarsi fratelli e cugini napoletani e spagnoli.
Quando nel 1759 Carlo, Re di Napoli, abbandonò il regno delle Due Sicilie per diventare Re di Spagna, dispose che il Gran Magistero “napoletano” passasse al suo figlio terzogenito, non senza averlo prima dichiarato “Primogenito Farnesiano”, con il formale placet dei Pontefici Clemente XIII, nel 1763, e Pio VI nel 1777.
Solo nel 1816 il Ducato di Parma e Piacenza poté riappropriarsi del proprio patrimonio araldico – cavalleresco, quando la duchessa Maria Luigia d’Asburgo rivendicò e assunse il Gran Magistero dell’Ordine Costantiniano di Francesco Farnese, in qualità di duchessa per via dell’imperatrice sua madre.
L’Arciduchessa Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, con le insegne di Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano.

Il 24 aprile 1816, quattro giorni dopo il suo arrivo a Parma, Maria Luigia nominò nove cavalieri di giustizia e tredici cavalieri di merito, istituendo, il 12 marzo 1817, una commissione araldica presieduta dal principe di Soragna per valutare i titoli di ammissione nelle categorie nobiliari. La stessa Corte napoletana, a conferma dell’incertezza del diritto, alla luce dei prestigiosi conferimenti di Maria Luigia ammetteva, per voce del principe Ruffo, che alla signora Arciduchessa qual posseditrice dei Ducati non si potesse, a dir il vero, negare il diritto di concedere quello stesso Ordine, ponendo così le basi di una pacifica coesistenza tra i due rami dello stesso Ordine.
Dopo le prime rimostranze della casa Reale delle Due Sicilie, fra i due Ordini Costantiniani di Parma e Napoli si instaurò, quindi, una reciproca tolleranza, proprio perché alla base vi erano questioni interpretative di delicata e difficile comprensione ed equilibri consolidati che sarebbe sto impossibile mettere in discussione.
Con il ritorno dei Borbone sul trono di Parma, dopo la morte di Maria Luigia nel 1847, il Gran Magistero fu assunto da Carlo Lodovico, già duca di Lucca, e successivamente dal figlio Carlo III.
Parma, Chiesa della Steccata, Sede dell’Ordine Costantinano parmense.

Alla metà dell’Ottocento numerosi Sovrani risultano insigniti dell’Ordine parmense, fra i quali l’imperatore d’Austria, l’imperatore del Brasile, lo zar di Russia, il granduca di Toscana, il re di Prussia, il duca di Modena, Don Francesco d’Assisi (principe consorte di Spagna), i quali riconobbero ufficialmente l’Ordine parmense nei loro Stati.
Dopo l’unità d’Italia il duca Roberto, come fece con l’Ordine di San Lodovico, continuò a conferire l’Ordine Costantiniano non solo a membri della propria Famiglia, ma anche a Capi di Stato, dignitari, funzionari di tutta Europa, fra i quali il principe Alberto I di Monaco e Ferdinando I e Boris III di Bulgaria.
La croce dell’Ordine è, ovviamente, la stessa adottata dall’Ordine Costantiniano di San Giorgio del Regno delle Due Sicilie, dalla quale differisce per l’omega minuscolo anziché maiuscolo.
Dal 1922 i beni dell’Ordine “parmense”, trasformato in Ente pubblico istituzionale dopo l’unità d’Italia ed un tentativo di incameramento da parte dell’Ordine Mauriziano, sono amministrati da un Consiglio di nomina governativa, che vede la presenza del Vescovo di Parma, che svolge anche le funzioni di Gran Priore, del Sindaco, del Prefetto, del Presidente della Provincia, del Rettore dell’Università degli Studi, del Presidente del Tribunale, del Soprintendente alle Gallerie. Il Gran Magistero dell’Ordine equestre, invece, è rimasto patrimonio araldico dei Borbone-Parma.
Attuale Gran Maestro del ramo parmense dell’Ordine Costantiniano, dopo al recente scomparsa di S.A.R. il Principe Don Carlo Ugo di Borbone-Parma, è il principe S.A.R. Don Carlo Saverio Bernardo di Borbone-Parma, Duca titolare di Parma e Piacenza.
Da notare che la Repubblica Italiana, ormai da tempo, autorizza l’uso delle onorificenze di quest’Ordine Costantiniano, così come di entrambi i rami, napoletano e spagnolo, dell’Ordine Costantiniano legato al patrimonio araldico dei Borbone-Due Sicilie.
4 11, 2011

PRESENTACIÓN DE LA CRUZ DE SINOPLE.

Por |2020-11-13T03:47:29+01:00viernes, noviembre 4, 2011|

En el Aula Marqués de Ciadoncha del Colegio Heráldico de España y de las Indias, tuvo lugar el pasado 3 de noviembre de 2011, el acto de apertura del curso de tan docta corporación, con la presentación del libro La Cruz de Sinople de nuestro hermano de hábito, José María de Montells. Presidida por el marqués de Casa Real, director del dicho Colegio, don Bernardo de Ungría, Presidente de Honor de la entidad académica y por el marqués de Almazán, Gran Maestre de la Religión, la presentación corrió a cargo del Profesor don Daniel García Riol que disertó largo y tendido sobre la obra de Montells, pronunciando una modélica introducción a la obra y glosando magistralmente su contenido, con especial mención a las fotografías que ella incluye.
Mesa Presidencial.
Anunciado profusamente en varios blogs, entre ellos este mismo, el acto contó con una numerosa asistencia, entre los que pudimos ver al académico don José Antonio Dávila, a don Juan de Ranea, a don Fernando del Arco, al Coronel Rodríguez Augustin, al Comandante Carrión Rangel, entre otros muchos.
El Marqués de Casa Real toma la palabra.
Después de una breve intervención del autor y del marqués de Casa Real, se procedió a abrir el debate que ayudó a dar a conocer aún más la religiosidad de honda raíz católica de la caballería lazarista. Con la firma de ejemplares hasta agotar los existentes, terminó el acto, a plena satisfacción de los que allí acudieron.
Un momento en el acto.
3 11, 2011

EL JEFE DE LA CASA REAL DE GEORGIA, NOMINADO PARA SU INGRESO COMO ACADÉMICO DE HONOR EN LA ACADEMIA «ENRIQUE VI DE HOHENSTAUFEN»

Por |2020-11-13T03:47:30+01:00jueves, noviembre 3, 2011|

La Encomienda Autónoma de “Santa María de los Alemanes”, como ya anunciamos en este blog en nuestra entrada correspondiente al día 11 de octubre actual, instituye con la aprobación del Gran Magisterio de la Orden, la “Academia Teutónica Enrique VI de Hohenstaufen”, con el firme propósito de promover el estudio y la investigación sobre todo los concerniente a la Orden Teutónica , en particular, y a la Caballería en general.
En dicha entrada, como todos nuestros lectores y amigos recordarán, anunciamos que nuestro Presidente de la Diputación, el Dr. D. Francisco M. de las Heras y Borrero era el primer español que ingresaba en la misma como “Académico Ordinario”.
Hoy, por el contrario, queremos dedicar la presente entrada a dar a conocer la nominación para su ingreso en dicha Academia, del Jefe de la Casa Real de Georgia el Príncipe Davit Bagrationi Mukran Batonishvili, como Académico de Honor.
Emblema de la Academia.
Publicamos, de manera literal, el escrito que el Sr. D. Pino Zingale, Rector de la Academia y Comendador de Santa María de los Alemanes, nos envía a modo de comunicación.
3 novembre 2011
S.A.R. DAVIT BAGRATIONI MUKHRAN BATONISHVILI
CAPO DELLA CASA REALE DI GEORGIA
NOMINATO ACCADEMICO D’ONORE
DELL’ACCADEMIA TEUTONICA
“ENRICO VI DI HOHENSTAUFEN”
Davit Bagrationi di Moukhrani è nato il 24 Giugno, 1976 ed è l’attuale Capo della Casa Reale della Georgia.
Nel 2007 è succeduto come Capo della dinastia Bagrationi dopo la rinuncia del fratello maggiore Irakli; porta i titoli di Principe Ereditario, Duca di Lasos e Principe di Kakheti , Kartalia e Mukhrani ed è il Gran Maestro degli Ordini Dinastici.
La Dinastia discende, secondo la tradizione dal biblico re e profeta Davide e proviene dalla Palestina attorno al 530 d.C.; è considerata la più antica Casa Reale cristiana attualmente esistente, la quale ha caratterizzato la propria storia per la fiera e costante difesa della fede cristiana, secondo la tradizione ortodossa, segnata anche dalla circostanza che molti membri di quella Casa Reale sono divenuti, nel tempo, Catholicos-Patriarchi della Chiesa Ortodossa Georgiana: Davit II (1426- 1428), Davit V (1466-1479), Melchizedek II (1528-1552), Nikoloz VII (1584-1589), Domenti II (1660-1676), Domenti IV (1705-1741), Anton I (1744-1788), Ioseb (1769-1776) e Anton II (1788-1811), mentre altri membri, come il Re Davit IV, la Regina Tamara, il Re Demetrio II ed il Re Luarsab II sono stati canonizzati dalla Chiesa Ortodossa.
La storia dei Bagrationi è strettamente connessa a quella della nazione georgiana, sulla quale hanno regnato a partire dal IX secolo in qualità di principi dei domini lungo i confini sud-occidentali della Georgia riconquistati agli Arabi.
Furono i Bagrationi che restaurarono nell’888 il Regno di Georgia che prosperò sotto la loro guida, in particolare dall’XI secolo al XIII secolo, e poi, dopo la frammentazione del Regno, avvenuta nel tardo XV secolo, le varie branche della dinastia regnarono sui regni divisi Kartli, Kakheti, ed Imereti, fino alla parziale riunificazione sotto il regno di Eraclio II nel 1762.
Dopo la morte di Eraclio nel 1798, suo figlio e successore Giorgio XII cercò di rinnovare il trattato di alleanza con la Russia, con lo zar Paolo I, richiedendo il suo intervento nelle lotte intestine tra i vari pretendenti della dinastia bagratione per il trono di Georgia. Nel nuovo trattato l’elemento principale sarebbe stato l’incorporazione dei regni Kartli e Kakheti in territorio russo mantenendo ai sovrani georgiani la loro autonomia. Tuttavia, mentre i negoziati erano ancora in corso, lo zar russo firmò un manifesto il 18 dicembre 1800 con il quale dichiarava l’annessione del regno georgiano alla Russia, che venne tenuto segreto fino alla morte di Giorgio XII il 28 dicembre 1800.



Giorgio XII Bagrationi.

Per questo motivo il successore di diritto al regno georgiano, Davit Bagrationi, non venne riconosciuto dal governo russo come il legittimo erede al trono ed il 12 settembre 1801 il nuovo zar Alessandro I spodestò di fatto la dinastia dei Bagrationi. A questa decisione tutti i principi della dinastia Bagrationi si opposero, restando però divisi, e vennero in gran parte arrestati e deportati.
L’ultimo regno non unificato della dinastia Bagrationi, il regno di Imereti, decadde circa un decennio più tardi, quando il 25 aprile 1804, il sovrano Salomone II, formalmente un vassallo dell’Impero Ottomano, fu costretto a firmare il trattato di Elaznauri. Fu così che il 20 febbraio 1810 l’esercito russo invase il regno Imereti e costrinse Salomone II all’esilio a Trabzon, in Turchia, dove morì esule nel 1815.
Sotto il dominio dell’Impero Russo la dinastia bagratide continuò ad esistere come nobiltà di corte fino alla Rivoluzione del febbraio 1917.
Con la nascita dell’Unione Sovietica e l’istituzione della RSS Georgiana nel 1921 gran parte dei discendenti della casata furono costretti ad emigrare all’estero disseminandosi in gran parte del continente europeo.
2 11, 2011

EL DR. D.FRANCISCO M. DE LAS HERAS, PRESIDENTE DE LA DIPUTACIÓN DE ESTA CASA TRONCAL, ACADÉMICO HONORARIO DE LA ACADEMIA BOLIVIANA DE GENEALOGÍA Y HERÁLDICA.

Por |2020-11-13T03:47:30+01:00miércoles, noviembre 2, 2011|

El pasado día 24 de octubre del corriente año nuestro Presidente, el Dr. Francisco M. de las Heras y Borrero, fue recibido como Académico Honorario de la Academia Boliviana de Genealogía y Heráldica.
Francisco M de las Heras a la entrada del exclusivo Circulo de la Union de La Paz.
El acto tuvo lugar a las 19 horas de dicho día en los elegantes salones del Círculo de la Unión, de la Paz, sede administrativa del Gobierno de la República Plurinacional de Bolivia, que se encontraba repleto de una distinguida audiencia, conformada por los miembros de la Academia, representantes de las academias bolivianas, profesores universitarios y cuerpo diplomático.
Presidencia del Acto.
Francisco M. de las Heras pronunció una conferencia magistral que llevaba por título “Ayer y Hoy de la Investigación Genealógica y Heráldica: sus grandezas y miserias”, mediante la que realizó una cumplida exposición de ambas ciencias auxiliares de la Historia sin rehuir ningún espinoso tema, como el relativo a las falsificaciones documentales tan de actualidad en los últimos años. Nuestro Presidente fue efusivamente felicitado por su intervención.
Francisco M de las Heras agradeciendo la distincion recibida.
Al finalizar la conferencia, el Presidente de la Academia, Dr. Mario Paz Zamora, recibió a nuestro Presidente como Académico de Honor.
A la mañana siguiente, 25 de octubre, Francisco M. de las Heras dictó un Seminario que llevaba por título “HONORES Y DISTINCIONES EN LA ESPAÑA ACTUAL.- EL EJERCICIO DEL DERECHO PREMIAL EN UNA MONARQUÍA PARLAMENTARIA”, el cual contó con una participación de más de treinta académicos, entregándose al final del mismo diploma de asistencia y participación.
Francisco M de las Heras Academico Honorario de la Academia Boliviana de Genealogia y Heraldica.
En otras próximas entradas daremos noticias de otras actividades realizadas por nuestro Presidente durante su reciente viaje a Bolivia.
Francisco M de las Heras su hija Mariola y Miguel Angel Flores.
1 11, 2011

«V SEMINARIO IBÉRICO DE HERÁLDICA Y CIENCIA DE LA HISTORIA».

Por |2020-11-13T03:47:30+01:00martes, noviembre 1, 2011|

La Falerística, como todos nuestros lectores conocen, es una rama de la Numismática, y por lo tanto una ciencia auxiliar de la Historia, que se ocupa del estudio, clasificación e inventario de las condecoraciones. Disciplina íntimamente relacionada con la Medallística, que vió la luz por vez primera en 1937 en Checoslovaquia, y cuya nomenclatura deriva de la palabra latina «Phalerae», una de las muchas condecoraciones que crearon los romanos, y que consistían en pequeños escudos repujados en oro, plata o bronce, que se llevaban sobre la coraza o cota de malla, sujetos con correas, o en los arreos del caballo. Y que en la medida en que se desarrolló la economía de guerra en Roma, fueron concedidas por determinados méritos u acciones  a Unidades completas de manera colectiva, y que para mostrarlos los colgaban de sus «Vexillae» ( Estandartes).
Ariba :Phalerae.
Abajo: detalle de varias Phalerae colgadas en un arnes de cuero sobre la cota de malla de un oficial romano ( en este caso Centurión).

Al hilo de este comentario, queremos dedicar la entrada de hoy, a dar a conocer una comunicación que nos hizo llegar el Canciller para nuestra Casa en Portugal, D.Vitor Escudero y que supongo que será del interés de todos nuestros lectores y amigos.
A las 14.30 horas del sábado 03 de diciembre actuales, patrocinado por la “Academia Internacional de Heráldica” en unión de la CPES – Centro de Investigación y Estudios Sociales, del Seminario de Genealogía y Heráldica, del Curso de Historia de la Facultad de Ciencias Sociales y Humanidades de la Universidad  Lusófona de Lisboa, con el apoyo de la Fundación «SOUSA PEDRO», en el Auditorio Armando Guebuza, de la Universidad Lusófona de Humanidades y Tecnología , se celebrará el «V Seminario Ibérico de Heráldica  y Ciencia de la Historia». Este año dedicado al tema «Património Heráldico e Falerístico dos Estados Iberoamericanos no Bicentenario das Independencias».
Todos los interesados podrán remitir sus trabajos y ponencias hasta el próximo 7 de noviembre a esta Academia Internacional. Éstos podrán incluir la correspondiente presentación audiovisual , no excediendo de 20 minutos.
La entrada al Seminario será libre y se expedirán certificados de asistencia.
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