4. Corretta esegesi del dato normativo e conseguenze sulla loro autorizzabilità all’uso in Italia.

Il punto di partenza non può non essere costituito dal dato, invero non controverso, dell’originaria estraneità all’ordinamento italiano di entrambi gli Ordini.
Per quel che riguarda l’Ordine della Santissima Annunziata le principali fonti normative (a noi pervenute) sono costituite dallo Statuto di Amedeo VIII del 30 maggio 1409, le Norme aggiuntive del 13 febbraio 1434, l’aggiornamento delle regole del Duca Carlo II dell’11 settembre 1518, gli Statuti di Emanuele Filiberto del 18 ottobre 1577, la Patente del Duca Carlo Emanuele I del 3 dicembre 1607, l’Editto dello stesso Duca del 1° giugno 1620, l’Ordinanza di Maria Giovanna Battista, Duchessa reggente di Savoia, del 24 marzo 1680, la Carta Reale del Re Carlo Alberto del 15 marzo 1840, la Carta Reale del Re Vittorio Emanuele II del 3 giugno 1869, il R.D. del Re Umberto I del 7 aprile 1889 ed, infine, il R.D. motu proprio del Re Vittorio Emanuele III del 14 marzo 1924.
Per quel che riguarda, invece, l’Ordine Mauriziano, le principali fonti normative sono costituite dall’Atto del 1434 di prima fondazione dell’Ordine di S. Maurizio per opera di Amedeo VIII, dalla rinuncia del 13 gennaio 1571 di Giannotto Castiglioni al Gran Magistero dell’Ordine di San Lazzaro a favore del Duca Emanuele Filiberto di Savoia, dall’Istituzione regolare dell’Ordine di S. Maurizio da parte del Papa Gregorio XIII con sua Bolla del 16 settembre 1572 con il conferimento del Gran Magistero al Duca Emanuele Filiberto, dalla Bolla di Papa Gregorio XIII del 13 novembre 1572 di riunione dell’Ordine di San Maurizio a quello di San Lazzaro con la concessione del Gran Magistero al Duca di Savoia Gran Maestro dell’Ordine di S. Maurizio, e dà a questi facoltà di prendere possesso di tutto ciò che apparteneva all’Ordine di S. Lazzaro, Bolla del Pontefice Gregorio XIII del 15 gennaio 1573 che prescrive e designa le Insegne dei Cavalieri dell’Ordine cioè una croce verde ed una bianca; statuti, regole e costituzioni promulgati dal Duca Emanuele Filiberto il 22 gennaio 1574; Corpo di Leggi e di Statuti dell’Ordine promulgati il 27 dicembre 1816 dal Re Vittorio Emanuele I; R.D. 8 agosto 1826 che determina l’uniforme o divisa dei Cavalieri; nuove disposizioni e norme per l’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro promulgate il 9 dicembre 1831 dal Re Carlo Alberto; Regie Magistrali Patenti del 16 marzo 1851 che riordinano gli statuti dell’Ordine Mauriziano; Riforma generale del Consiglio dell’Ordine del 24 novembre 1853.
Per quel che riguarda l’Ordine della Santissima Annunziata è agevole rilevare come in tutti gli atti normativi ad esso relativi il Re specificasse sempre di agire in qualità di Capo e Sovrano dell’Ordine, rimarcando costantemente per un verso una sovranità che era propria dello stesso Ordine e, per altro verso, il legame dei cavalieri con la sua Casa, cioè Casa Savoia; e, ancora, come i predetti atti, fino al 1869, venissero emessi solo “sentito il parere dei Nostri cugini, li cavalieri dell’Ordine stesso”, senza alcun intervento da parte delle autorità dello Stato (Presidente del Consiglio o Ministri). Solo dal 1889 è dato riscontrare l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e viene rafforzato il lega me dell’Ordine con lo Stato.
S.M. Vittorio Emanuele II.

L’Ordine Mauriziano, invece, godette di una maggiore compenetrazione con lo Stato italiano, al punto che Vittorio Emanuele II con decreto del 20 febbraio 1868 stabilì, per ciascuna figura istituzionale dello Stato (magistrati, militari, sindaci, ecc.), il grado al quale poteva accedere nell’Ordine. Peraltro, già nel 1868 il Presidente del Consiglio dei Ministri interveniva nella formazione degli atti normativi relativi all’Ordine. Tuttavia il Governo dell’Ordine continuò a mantenere una grande autonomia rispetto allo Stato.
Per entrambi gli Ordini, tuttavia, non si è mai registrato nessun intervento da parte del Parlamento del Regno, atteso che gli atti normativi relativi ai due Ordini erano e rimasero fino all’ultimo nell’esclusiva disponibilità del Sovrano.
I titoli di governo utilizzati dai Re per questi due Ordini (Sovrano Gran Maestro per la Santissima Annunziata e Generale Gran Maestro per il Mauriziano, diversi da quelli di Capo e Gran Maestro o, semplicemente, di Gran Maestro utilizzati per gli altri Ordini del Regno) denotano una sostanziale eterogeneità dei due ordinamenti equestri rispetto a quello statale, con l’accentuazione di un principio di vera e propria indipendenza.
Nell’Ordine della Santissima Annunziata, addirittura, l’art. 62 degli statuti prevedeva che durante la minore età del Sovrano i cavalieri eleggessero tra di loro uno per il governo dell’Ordine e che a questo dovessero ubbidire come al Sovrano: una disciplina della reggenza diversa, quindi, da quella prevista dallo Statuto Albertino per il Regno e che poteva, in ipotesi, determinare l’evenienza che le funzioni di Capo e Sovrano dell’Ordine fossero svolte da persona diversa da quella che esercitava le funzioni di reggenza nello Stato. I Cavalieri, ancora, erano chiamati a prestare giuramento di fedeltà al Sovrano, intendendosi per tale il Sovrano dell’Ordine e non il Re. Il Sovrano dell’Ordine della Santissima Annunziata, infine, ai sensi dell’art. 67 degli statuti, in mancanza del sigillo dell’Ordine, poteva sigillare i provvedimenti dell’Ordine con l’anello di San Maurizio, con ciò rimarcando la compenetrazione ed inscindibilità della titolarità dei due Gran Magisteri che riconoscevano in un unico Sovrano (il Capo di Casa Savoia) il loro legittimo Capo: nessun cenno viene fatto, invece, alla possibilità di utilizzare il sigillo di Stato.
Logica conseguenza di tali constatazioni è che entrambi gli Ordini, sebbene “prestati” o, sarebbe meglio dire, “incardinati” (lo Statuto Albertino recita testualmente, all’art. 78, che “Gli Ordini Cavallereschi ora esistenti sono mantenuti con le loro dotazioni… Il Re può creare altri Ordini, e prescriverne gli statuti”) nell’ordinamento statuale italiano per il periodo in cui è stato mantenuto il regime costituzionale monarchico, continuarono, però, a mantenere la loro connotazione di Ordini Dinastici legati alla persona del Re in quanto Capo di Casa Savoia.
Il Re esercitava, pertanto, tale prerogativa come titolare di un suo autonomo potere, coadiuvato solo marginalmente dal governo, la cui partecipazione fu sempre estremamente limitata perché per l’istituzione di nuovi Ordini o per la riforma di quelli già esistenti (come era già avvenuto, ad esempio, con i decreti 14 dicembre 1855 e 1 settembre 1860, relativi all’Ordine Mauriziano) il Sovrano agiva in forza di un diritto proprio.
L’art. 78 dello Statuto, riservando al Re oltre alla facoltà esclusiva della istituzione di nuovi ordini anche quella di stabilirne gli statuti, gli attribuiva una vera e propria capacità legislativa per quanto concerne questa materia. Tale autonoma capacità legislativa della Corona comprendeva la facoltà di emanare norme relative sia al conferimento di distinzioni equestri sia alla loro revoca o caducazione. A questo faceva, evidentemente, riferimento il Consiglio di Stato (commissione speciale per i titoli pontifici) che nel suo parere del 19 giugno 1969 così si esprimeva: “secondo un’autorevole opinione dottrinale (Santi Romano), il Sovrano nella materia araldico-nobiliare (e quindi anche cavalleresca), non agiva tanto quale Capo di Stato, quanto come Capo della Dinastia (soggetto di autarchia)”.
La prerogativa regia in tema di conferimento di onorificenze cavalleresche e di distinzioni onorifiche in genere era da ritenersi assoluta ed esclusiva, nel senso che non solo non era consentito ad altri di arrogarsi la potestà di concedere simili distinzioni onorifiche, ma era esplicitamente vietato ai cittadini di accettare gradi equestri da una qualunque potenza straniera senza espressa autorizzazione del Re.
Scrive il Pezzana (Rivista Araldica) che: “l’avvento al potere della Sinistra non portò ad un mutamento, ma anzi ad un aumento del numero delle concessioni e alla teorizzazione del principio della Regia Prerogativa. In alcune materie si disse, e sia pure non senza contrasti la tesi prevalse, che il Re, nonostante il regime costituzionale, aveva conservato tutte le prerogative del Sovrano assoluto. Queste materie erano quelle dei titoli nobiliari, degli Ordini Cavallereschi, dell’ordinamento della Casa Reale, delle Chiese Palatine. In esse il Re poteva emanare non solo provvedimenti amministrativi ma anche legislativi e la controfirma ministeriale, quando era richiesta, aveva la funzione prestatutaria di certificazione dell’autenticità della firma reale, non potendo sorgere un problema di responsabilità politica (si veda, ad esempio, il rifiuto di accettare la discussione parlamentare sull’amministrazione dell’Ordine Mauriziano)”. Successivamente la dottrina in materia si arricchì con l’approfondimento fattone da Santi Romano che teorizzò il concetto di Regia Prerogativa nel senso che il Sovrano, anche se vertice di uno stato costituzionale, agiva nelle materie sopra ricordate quale soggetto di autarchia, e cioè, prima che nell’interesse dello Stato, nell’interesse proprio e in quello della Dinastia.
E’ utile rimarcare, in proposito, che tutti i testi legislativi e regolamentari in materia nobiliare vennero emanati con decreti reali, senza alcun intervento del Parlamento, senza alcuna espressione di parere da parte del Consiglio di Stato e, spesso, senza neppure quello del Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio di Stato, con decisione della IV Sezione del 2 febbraio 1937 n. 62, dichiarando inammissibile il ricorso contro un decreto reale di revoca di un’onorificenza dell’Ordine della Corona d’Italia, rendeva bene questo concetto allorché affermava che il provvedimento era stato adottato dal Re “non come organo dello Stato, ma in nome proprio per prerogativa della Corona, come avviene in materia di titoli nobiliari”.
Ne consegue che le espressioni: – “l’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi”; – “l’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge”; – “cessa il conferimento delle onorificenze dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro” ma “è tuttavia consentito l’uso delle onorificenze già conferite”, devono essere, quindi, correttamente interpretate mediante un processo di contestualizzazione storico-giuridica dei precetti ivi contenuti. Partiamo dall’Ordine della Santissima Annunziata che è quello, tra i due, che più ha mantenuto una posizione autonoma – al limite dell’indipendenza – dallo Stato e che la norma vorrebbe soppresso unitamente alle relative onorificenze.
Commenda dell’Ordine della Corona d’Italia.

Innanzi tutto cosa significa, riferito all’Ordine della Santissima Annunziata, che le relative onorificenze sono soppresse?
E’ chiaro che la soppressione di un Ordine equestre comporta di per sé, per il futuro, quella delle relative onorificenze, intese, queste ultime, come i gradi e le distinzioni onorifiche conseguibili attraverso l’atto di conferimento dell’Ordine, e pertanto, in questo senso si sarebbe trattato di una superfetazione.
D’altronde lo stesso art. 9 della legge n. 178/51, prevede pure la soppressione dell’Ordine della Corona d’Italia, senza nulla disporre per le relative onorificenze, e ciò avvalora la tesi che alla soppressione delle onorificenze della Santissima Annunziata debba attribuirsi un diverso ed ulteriore significato.
Peraltro le onorificenze già concesse potevano essere, semmai, revocate o ne poteva essere vietato l’uso, ma certo non soppresse, espressione che, se riferita al passato, è priva di significato logico.
Anche qui sovviene una lettura complessiva del citato art. 9: mentre per l’Ordine della Santissima Annunziata si dispone la soppressione dell’Ordine e delle onorificenze, per l’Ordine della Corona d’Italia si dispone la sola soppressione dell’Ordine e per quello dei Santi Maurizio e Lazzaro soltanto che cessi il conferimento delle onorificenze.
Appare sufficientemente chiaro come il legislatore abbia voluto diversificare la posizione dei tre Ordini ponendo in essere tre distinte situazioni giuridiche:
1. Per l’Ordine della Corona d’Italia (istituito durante il Regno d’Italia e considerato, quindi, patrimonio dello Stato) è stata disposta la soppressione (dalla quale scaturisce, ovviamente per il futuro, la cessazione del conferimento delle relative onorificenze), nulla statuendosi, però, in merito alle onorificenze già concesse, e con ciò ne è stato implicitamente consentito l’ulteriore uso;
2. Per quanto riguarda l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro non ne è stata disposta la soppressione, ma, in forza della più volte citata XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione, esso è stato mantenuto (solo) come ente ospedaliero, con la perdita, però, della natura di Ordine equestre; in questo caso, tuttavia, l’uso delle onorificenze già concesse è stato espressamente previsto, ma al solo fine di sancire, con esso, il contestuale venir meno di ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie.
3. Dell’Ordine della Santissima Annunziata ne è stata disposta la soppressione unitamente alle relative onorificenze.
Orbene, tralasciando ogni considerazione circa l’Ordine della Corona d’Italia, il quale essendo un Ordine statuale di corona istituito in forza delle prerogative attribuite al Re dalla Costituzione del Regno poteva anche considerarsi nella disponibilità dello Stato e non appartenente al patrimonio dinastico di Casa Savoia, la c.d. “soppressione” dell’Ordine della Santissima Annunziata e delle relative onorificenze non può che essere letta come semplice espunzione di quell’Ordine dall’ordinamento statuale, con la conseguente cessazione della natura “nazionale” delle relative onorificenze ed il correlato ulteriore divieto, a tale titolo, di uso pubblico: cioè come rescissione ex lege di quel legame storico, araldico e giuspubblicistico che ne aveva fatto la massima onorificenza italiana durante il periodo della monarchia dei Savoia.
Soppressione dell’Ordine, quindi, intesa come cessazione della sua qualità di Ordine nazionale e soppressione delle relative onorificenze intesa come divieto di uso pubblico.
D’altronde, come avrebbe potuto lo Stato sopprimere qualcosa che non aveva creato e che fondava la propria nascita e legittimazione in tutt’altro ordinamento?
E’ appena il caso di richiamare alla memoria illustri precedenti di soppressione da parte di Stati di Ordini a forte connotazione religiosa e con nobili tradizioni equestri, come il Teutonico in Germania durante il periodo nazista e nei territori dell’Impero francese durante il regno di Napoleone Bonaparte, o quello di San Giovanni in alcuni stati europei passa- ti al protestantesimo, abolizione che, nel tempo, è stata vanificata e giuridicamente posta nel nulla immediatamente dopo, proprio sul presupposto che lo Stato non potesse sopprimere qualcosa che era estraneo al suo ordinamento.
Peraltro, l’Ordine della Santissima Annunziata non è stato “soppresso” dalla Costituzione Repubblicana, neppure tacitamente (ne è riprova il fatto che la sua soppressione fu disposta espressamente per legge nel 1951) ed ha temporaneamente mantenuto la connotazione di Ordine nazionale anche per i primi anni della Repubblica, dal 2 giugno 1946 sino all’entrata in vigore della legge 3 marzo 1951, n. 178, anche se era evidente che si trattava di un Ordine profondamente legato a Casa Savoia ed il suo destino appariva segnato.
Collari piccolo e grande dell’Ordine della SS. Annunziata.

Il Capo Provvisorio dello Stato, dopo l’assunzione della funzione e del titolo di Presidente della Repubblica in forza della prima disposizione transitoria della Costituzione, e dopo di lui il primo Presidente della Repubblica eletto, sebbene a loro spettasse la facoltà, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione, di conferire le onorificenze della Repubblica, si guardarono bene dall’attribuire onorificenze dell’Ordine dell’Annunziata, considerandolo, evidentemente, una istituzione equestre “non della Repubblica”, ontologicamente estranea al nuovo sistema istituzionale, sebbene ancora formalmente riconosciuta come Ordine Cavalleresco nazionale.
In buona sostanza l’atteggiamento dei Presidenti della Repubblica ha solo anticipato quello che sarebbe stato l’atteggiamento della Repubblica verso la principale onorificenza monarchica: una posizione, potremmo dire, di fisiologica estraneità, con ciò stesso riconoscendo implicitamente in capo al Re in esilio il permanere della qualità di Capo di quell’Ordine come patrimonio della monarchia e della Casa Reale di Savoia.
In effetti, uno Stato può decidere di ignorare o di non prestare tutela giuridica a soggetti e situazioni originate e radicate in altri ordinamenti, ma non può certo interferire sulla loro esistenza o evoluzione: d’altronde, come ha insegnato la migliore dottrina (Romano), non esiste un solo ordinamento, ma una pluralità di ordinamenti, ciascuno con proprie regole e normative, spesso anche confliggenti ma non per questo sempre influenzabili reciprocamente secondo un criterio di superiorità gerarchica, dovendosi spesso applicare un principio di reciproca non interferenza.
Cavaliere dell’Ordine della Santissima Annunziata in abito cerimoniale.


In buona sostanza la posizione dell’Ordine della Santissima Annunziata e delle sue onorificenze è divenuta nel regime repubblicano, né più, né meno, che identica a quella degli altri Ordini dinastici pre-unitari (e tale esso era in quanto nato come Ordine della Contea – poi Ducato – di Savoia prima, del Regno di Sardegna poi e, infine, di quello d’Italia): cioè, sostanzialmente estranea all’ordinamento statale italiano, patrimonio araldico della Casa Savoia che può continuare a disporne nei termini ritenuti più opportuni, con un uso delle onorificenze assoggettato in Italia, anche per quelle già concesse nel periodo monarchico, all’autorizzazione del Ministero per gli Affari Esteri, atto, quest’ultimo, con valenza, però, anche politica e di ordine pubblico ed, in quanto tale, altamente discrezionale.
In tal senso può sostenersi che il venir meno del divieto costituzionale di rientro in Italia degli eredi maschi di Casa Savoia – il cui valore politico di svolta istituzionale e di pacificazione nazionale non può certo sfuggire – può costituire il presupposto per la possibilità di una valutabilità positiva di simili richieste di autorizzazione, trattandosi di un Ordine che non connota più, nel presente contesto storico, una potenziale non condivisione dell’idea repubblicana ma si configura, più semplicemente, come il più elevato strumento di apprezzamento e valorizzazione, da parte della ex Casa Reale italiana (alla quale, nel bene e nel male, l’Italia deve la propria evoluzione da semplice espressione geografica a soggetto politicamente unitario) – come tutte le altre ex Case Reali indiscutibile fons honoris – su basi di esclusiva tradizione storico-araldica, verso tutti “quei personaggi segnalati per eminenti servigi nelle alte cariche civili”, e ciò a prescindere da ogni convincimento politico, “ed anche quei personaggi che nella vita privata abbiano acquistato universalmente nome ed autorità di luminari d’Italia o di benefattori della Nazione” (art. II del R.D. 3 giugno 1869).
In sintesi: l’Ordine della Santissima Annunziata, in quanto Ordine Dinastico di Casa Savoia, non è stato soppresso, nel senso che non esiste più come soggetto giuridico: solo gli è stato revocato lo status di Ordine nazionale e le sue onorificenze, anche quelle conferite durante il periodo monarchico, sono state, per così dire, mandate in esilio insieme al Capo di Casa Savoia, con attribuzione dello status giuridico di Ordine non nazionale le cui onorificenze sarebbero autorizzabili con decreto del Ministero degli Affari Esteri; autorizza- zione che non era ipotizzabile, in concreto, sino a che permaneva il divieto di rientro in Italia degli eredi maschi della Casa Reale, ma che non sembra incontrare più seri ostacoli di opportunità politica e di ordine pubblico nel momento in cui tale divieto è venuto meno. Sarebbe, invero, assai singolare che si temessero, per la stabilità della Repubblica, più le onorificenze che la persona di colui che le conferisce.
Vicende del tutto simili si sono verificate in altre parti d’Europa, come in Portogallo, con l’Ordine di Nostra Signora della Concezione di Villa Viçiosa, ed in Montenegro, con l’Ordine di Danilo I.
L’Ordine di Villa Viçiosa fu istituito a Rio de Janeiro il 6 febbraio 1818 da Don Giovanni VI Re del Portogallo ed Imperatore del Brasile e fu soppresso con l’avvento della Repubblica, nel 1910, insieme a quello prestigiosissimo del Cristo ed all’Ordine di Santa Isabella.
Mentre, però, l’Ordine del Cristo fu ripristinato il 1° dicembre del 1918 come Ordine repubblicano, quelli di Nostra Signora di Villa Viçiosa e di Santa Isabella non furono più ripristinati e la Casa Reale portoghese, rinunciando a rivendicare – per evidenti motivi di opportunità politica – quello sicuramente pure dinastico del Cristo, li considerò, insieme a quello dell’Ala di San Michele (da secoli non più conferito e solo recentemente ripristinato), come i propri Ordini Dinastici.
Il Governo Portoghese, infine, sulla base del ricomposto rapporto istituzionale con la ex Casa Reale portoghese ha poi riconosciuto la personalità giuridica dell’Ordine di Villa Viçiosa, catalogandolo però come Associazione Culturale, con provvedimento pubblicato in Gazzetta Uff. – III Serie del “Diario della Repubblica, n. 200, foglio 10.740 del 1.9.1981. In conseguenza di ciò le relative insegne possono essere portate dai cittadini portoghesi senza alcun problema, anche se non possono essere usate dai militari sulle divise. A ciò si aggiunga che molti personaggi delle istituzioni e dello stesso Governo repubblicano ne sono stati insigniti ed hanno accettato l’onorificenza.
L’Ordine di Danilo I, invece, fu istituito dal Principe Danilo I Petrovich-Njegosh il 23 aprile 1853 e costituì, dopo l’Ordine della Casa di San Pietro, la massima onorificenza del Regno del Montenegro: in atto, ne è insignito persino il presidente della Repubblica del Montenegro.
Pur nella diversità di legislazione (il Portogallo, ad esempio, non ha la rigida normativa italiana in materia di onorificenze ed è sufficiente registrare come associazione un Ordine per poter fare uso delle relative insegne), non si comprende per quale motivo una situazione analoga di “riconoscimento” dei valori etici e storici che simili istituzioni hanno incarnato per secoli (e possono continuare ad incarnare) per una Nazione non possa verificarsi anche in Italia per l’Ordine Supremo della Santissima Annunziata.
Parzialmente diversa appare la posizione dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
In questo caso, non solo le onorificenze già concesse nel periodo monarchico sono state mantenute ma lo stesso Ordine è sopravvissuto alla caduta della monarchia, perdendo, però, a decorrere dall’entrata in vigore della legge n. 178/51, la qualità di Ordine equestre.
Soccorre la stessa considerazione già fatta per l’Ordine della Santissima Annunziata: l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è sopravvissuto come Ordine equestre dal 2 giugno 1946 sino all’entrata in vigore della legge 3 marzo 1951, n. 178, ma, a differenza della Santissima Annunziata, è stato considerato, in quel periodo, un vero e proprio Ordine nazionale, tant’è che l’art. 9 della legge n. 178/51 citata ha disposto solo che cessasse il conferimento delle onorificenze, salvo il diritto all’uso di quelle già concesse. Da quel momento in poi l’Ordine ha conservato solo la natura di ente ospedaliero (che mantiene tutt’oggi).
Anche per l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, però, i Presidenti della Repubblica si guardarono bene dal continuare nei conferimenti, non perché considerassero l’Ordine estraneo alla Repubblica (la XIV disposizione finale e transitoria della Costituzione ne aveva espressamente previsto la conservazione come ente ospedaliero), ma perché la sua funzione equestre (rectius: onorifica) aveva avuto il destino già segnato in Costituzione – l’espressione “è conservato come ente ospedaliero”, anche se non è inserito l’avverbio “solo” intende evidenziare, quanto meno, e ciò con sufficiente chiarezza, un certo non gradimento (non un divieto precettivo), da parte del costituente, per l’ipotesi che l’Ordine potesse essere conservato “anche” come Onorificenza nazionale” – in quanto, nonostante le benemerenze socia- li dell’Ordine, si trattava di un’istituzione considerata troppo legata alla memoria dei Savoia.
L’Ordine, pertanto, pur sopravvivendo in epoca repubblicana, ha perso in ambito statale, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 178/51, la connotazione equestre.
Anche in questo caso, però, la vicenda giuridica va ricondotta entro i giusti argini.
Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro in abito cerimoniale.

L’Ordine Mauriziano è nato come ordine religioso e militare, con bolla del Sommo Pontefice Gregorio XIII del 16 settembre 1572, sotto la regola cistercense, con attribuzione ai Capi di Casa Savoia, a titolo ereditario, del Gran Magistero; lo stesso Pontefice, con bolla del 13 novembre dello stesso, vi riuniva l’Ordine di San Lazzaro, confermando la cessione del Gran Magistero di quest’Ordine ai Savoia compiuta da Giannetto Castiglione il quale era stato, in precedenza, nominato a tale carica dal Pontefice Pio IV suo parente. Tale riconoscimento da parte dei Romani Pontefici non è mai venuto meno, neppure dopo la secolarizzazione dell’Ordine compiuta da Vittorio Emanuele II, tant’è che Papi come Benedetto XIV e Pio VI fecero richiesta ai Gran Maestri di Casa Savoia perché l’Ordine venisse conferito ad alcuni loro congiunti.
Placca di Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

L’Ordine Mauriziano, quindi, seguendo la stessa sorte di quello della Santissima Annunziata, fu associato alle sorti degli Stati che via via venivano governati dai Savoia, divenendo, dopo quello della Santissima Annunziata, l’onorificenza più ambita.
Peraltro, il cospicuo patrimonio immobiliare dell’Ordine (Chiese ed Ospedali) e l’amministrazione in genere, costituirono un corpo separato dallo Stato, alle cui regole di contabilità pubblica non soggiacevano.
Anche in questo caso, pertanto, più che di una soppressione del carattere equestre dell’Ordine deve, più correttamente, parlarsi di espunzione del Mauriziano, come Ordine equestre, dall’Ordinamento statale. Se si trattasse di una società si parlerebbe di “scorporo di ramo d’azienda”: quello assistenziale definitivamente attratto nell’ambito statale e quello equestre rilasciato, come estraneo all’ordinamento statale, ai legittimi titolari dell’Ordine, cioè Casa Savoia.
In buona sostanza l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dopo l’entrata in vigore della legge n. 178/51 è divenuto, a tutti gli effetti, per quel che riguarda la sua valenza equestre ed onorifica, un Ordine non nazionale, per cui le onorificenze rilasciate prima dell’entrata in vigore della legge n. 178/51 – in ipotesi, ma ciò non è accaduto, anche quelle concesse dai Presidenti della Repubblica sino a quella data – potrebbero essere portate come onorificenze nazionali (ovviamente non quelle concesse dal Re in esilio), mentre quelle successive a tale data (e quelle comunque concesse in ogni tempo dal Re in esilio) potrebbero essere autorizzate all’uso come quelle di qualsiasi altro Ordine Dinastico.
Peraltro, in favore dell’Ordine Mauriziano depone anche la circostanza che, diversamente da quanto è accaduto per quello della Santissima Annunziata, l’Ordine non è stato mai soppresso dallo Stato italiano, né alle sue onorificenze è stato attribuito un disvalore istituzionale che invece, con la soppressione dell’Ordine e delle relative onorificenze, il legislatore ha inteso attribuire a quello della Santissima Annunziata.
Paradossalmente, comunque, può affermarsi, in conclusione, che sia per l’Ordine della Santissima Annunziata (nella forma della soppressione) che per quello Mauriziano (nella forma della trasformazione in ente meramente ospedaliero ed assistenziale), le norme statali che li hanno espunti dall’ordinamento statale come Ordini equestri, rilasciandoli alla sola sfera del diritto araldico-cavalleresco, costituiscono il fondamento, per lo stesso ordinamento statale, del riconoscimento della loro natura di Ordini Dinastici non nazionali e, quindi, del relativo trattamento al fine dell’autorizzazione all’uso delle loro onorificenze.
Va, infine, segnalato, che mentre il Principe Vittorio Emanuele di Savoia, da quando è succeduto al padre S.M. Umberto II, ha sempre continuato nei conferimenti degli Ordini Dinastici, rivendicandone quale Capo della Casa la titolarità del Gran Magistero, il Principe Amedeo di Savoia-Aosta, dal momento in cui ha ufficialmente rivendicato per sé la medesima titolarità di Capo della Casa di Savoia e Gran Maestro degli Ordini Dinastici, si è limitato ad affidarne il governo al proprio figlio ed erede il Principe Aimone di Savoia-Aosta, il quale con provvedimento del 19 settembre 2006 ne ha sospeso ogni attività (e relative nuove nomine), in attesa di una preannunciata nomina di una commissione per il loro riordino.
Di Pino Zingale , Rettore dell’Accademia Teutonica “Enrico VI di Hohenstaufen” y Cavaliere della Casa Troncal de los Doce Linajes de Soria.

Armas de D. Pino Zingale como Caballero de la Casa Troncal .
(Blasón procedente del Registro de Armas de la Casa Troncal de los Doce Linajes de Soria).