ESEGESI STORICO-GIURIDICA SULLE DISPUTE DINSTICHE DELLA REAL CASA DI BORBONE-DUE SICILIE.
Por D. Pino Zingale.
Armas del Caballero Pino Zingale. (Blasón extraido del Armorial de esta Casa Troncal). |
TERCERA Y ÚLTIMA PARTE.
LA LEGITTIMA SUCESSIONE DINASTICA DELLA REAL CASA DI BORBONE DUE SICILIE E LA PRIMOGENITURA FARNESIANA.
Non si indugerà, in questa sede, ad approfondire le tematiche relative alla separatezza tra la qualità di Primogenito farnesiano (al quale è “de jure” connessa la titolarità del Gran Magistero Costantiniano) e quella di Capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie, pur senza aderire alla tesi dell’avvenuta unificazione o confluenza nella prima nella seconda (non sussiste nessun documento che supporti tale prospettazione), trattandosi di quella che in diritto internazionale si definirebbe mera unione personale e non reale, in quanto la titolarità della Corona delle Due Sicilie (rectius: Capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie) si atteggia già di per sé chiaramente ed indiscutibilmente in capo al Principe spagnolo Don Carlos.
Con riferimento al primo profilo – titolarità di Capo della Casa Reale di Borbone – Due Sicilie – deve osservarsi come l’ordine di successione alla Corona delle Due Sicilie sia regolato dall’articolo 70, Capitolo IV, dell’ultima Costituzione del Regno, promulgata con Atto Sovrano del 10 gennaio 1848 e confermata con Real Proclama del 28 giugno 1860.
Esso recita testualmente: «L’atto solenne per l’ordine di successione alla Corona dell’Augusto Re Carlo III del 6 di ottobre 1759 confermato dall’Augusto Re Ferdinando I nell’articolo 5 della legge degli 8 di dicembre 1816, gli atti sovrani del 7 di aprile 1829, del 12 di marzo 1836, e tutti gli atti relativi alla Real Famiglia rimangono in pieno vigore».
Gli Atti Sovrani del 1829 e del 1836 riguardavano i matrimoni dei membri della Real Casa e stabilivano che i matrimoni di un dinasta, che non avessero ricevuto l’assenso del Sovrano, escludessero il Principe o la Principessa contraente dalla successione.
Dunque per determinare chi sia il successore alla Corona o, rectius, dopo la morte dell’ultimo Re nel 1894, alla carica di Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, ci si deve basare esclusivamente sulla «Pragmatica Sanzione» emanata dal Re Carlo VII di Napoli e Sicilia, divenuto poi Carlo III di Spagna, del 6 ottobre 1756.
La pragmatica sanzione di Carlo VII.
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Quest’atto regola la successione non solo alla Corona delle Due Sicilie ma anche a quella spagnola e dispone che queste due Sovranità non possano mai essere unite nella stessa persona. Infatti esso fu redatto in conformità al Trattato di Napoli del 3 ottobre 1759, che a sua volta dava esecuzione alle disposizioni dei Trattati di Vienna del 1736-1739. Lo scopo di questi trattati, come affermato dallo stesso Sovrano nel terzo paragrafo della «Pragmatica», era quello di preservare «in Europa equilibrium», impedendo che un Monarca spagnolo potesse in futuro regnare direttamente anche in Italia.
Carlo III, che quando era Re di Napoli era stato anche Principe Ereditario di Spagna per tutta la durata del regno del fratello maggiore Ferdinando IV, indicava così chi gli dovesse succedere come Re di Spagna e ciò consente di affermare, innanzitutto, che non vi è motivo di ritenere che essere Re delle Due Sicilie pregiudicasse in qualche modo eventuali diritti spagnoli.
I trattati internazionali sopra citati proibivano, infatti, solo l’unione materiale delle due Corone e richiedevano che Carlo, una volta diventato Re di Spagna, abdicasse agli «Stati e Beni Italiani» in favore di chi gli veniva dopo nell’ordine di successione. Il trono principale era quello di Spagna e quindi è al suo secondogenito (a causa della grave malattia mentale della quale era affetto il primogenito) che egli attribuisce con la Pragmatica la posizione di «primogenito» ed il titolo di Principe delle Asturie. Mentre al suo terzogenito (ora «secondogenito» dopo l’esclusione dell’originario primogenito), l’Infante Ferdinando, egli conferisce la Sovranità sugli Stati Italiani, riservando per se stesso la sola Corona di Spagna.
Seguiva poi la parte più importante della Pragmatica, il regolamento dell’ordine di successione.
Questo si basava su quattro punti fondamentali:
1. che la Corona passasse per primogenitura con diritto di rappresentazione ai discendenti maschi da maschi del nuovo Re Ferdinando;
2. che mancando discendenti di questo passasse agli altri fratelli di Ferdinando, che erano tutti Infanti di Spagna;
3. che venendo meno anche gli eredi di questi, si trasmettesse all’erede femmina più prossima all’ultimo Re;
4. che in mancanza anche di quest’ultima la Corona passasse ai fratelli dell’Infante Don Filippo, Duca di Parma, o in sua mancanza, all’Infante Don Luigi.
Il paragrafo terminava con la proibizione che la sovranità dei «domini italiani» potesse essere mai più riunita alla Corona di Spagna, e più specificatamente prescriveva che qualora un Re di Spagna o un Principe delle Asturie ereditasse la sovranità Italiana vi rinunciasse in favore del Principe che si trovava ad essere secondo nell’ordine successorio.
Da questo documento si possono trarre due importanti conclusioni ai fini che qui rilevano.
La prima è che la successione avveniva per primogenitura maschile; la seconda, che non c’era nulla che impedisse ad un Infante di Spagna di godere allo stesso tempo di un diritto di successione al Trono di Spagna e della sovranità «degli Stati e Beni Italiani».
Questa possibilità era ben chiara a Carlo III, visto che i capi della dinastia delle Due Sicilie godevano di un diritto al trono spagnolo e viceversa.
Francesco II di Borbone.
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Da un punto di vista genealogico è chiaro, dunque, chi sia stato il successore dell’ultimo Re Francesco II, deceduto nel 1894 senza lasciare figli: a lui successe come Capo della Real Casa il primo dei fratelli viventi, Alfonso, Conte di Caserta: e su tale circostanza non sussiste controversia alcuna.
Questo Principe aveva contratto un matrimonio con una principessa di sangue reale, in ossequio alle leggi del Regno delle Due Sicilie, ed ebbe numerosi figli maschi, il primo dei quali, Ferdinando Pio (1869-1960) gli successe come Capo della Casa nel 1934. Anche su tale successione non sussiste nessuna controversia dinastica.
Ferdinando Pio, sposato con una Principessa di Baviera, ebbe un solo figlio maschio, Ruggero, morto a soli 13 anni nel 1914, e diverse femmine. Alla sua morte, nel 1960, il primo nella linea di successione sarebbe stato il fratello Carlo, che però era deceduto nel 1949 lasciando solo un figlio maschio (avuto dall’Infanta Mercedes, Principessa delle Asturie ed, in quanto tale, erede al trono spagnolo), Don Alfonso, Infante di Spagna, principe consorte dell’erede al trono di Spagna, il quale era genealogicamente il più vicino al capofamiglia defunto e che, pertanto, si proclamò Capo della Real Casa delle Due Sicilie, assumendo l’intero patrimonio araldico e dinastico della Famiglia, con i titoli di Duca di Calabria, Conte di Caserta e Gran Maestro degli Ordini Reali e Dinastici.
Ferdinando Pio di Borbone.
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E’ a questo punto che si verifica la ribellione del ramo ultrogenito facente capo al Principe Ranieri di Borbone – Due Sicilie, fratello del Principe Ferdinando Pio di Borbone – Due Sicilie, il quale non riconobbe il Principe Alfonso come Capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie, autoproclamandosene capo egli stesso.
Dal quel ramo ultrogenito deriva l’attuale Principe Carlo di Borbone – Due Sicilie, Duca di Castro, mentre da quello primogenito deriva S.A.R. l’Infante di Spagna Don Carlos di Borbone – Due Sicilie.
Quelli che contestano la successione dell’Infante Alfonso (e, quindi, del Principe Don Carlos, Infante di Spagna) lo fanno basandosi principalmente su due argomenti, entrambi palesemente infondati.
Essi sostengono che la Pragmatica sancisca la totale incompatibilità della dignità di Infante di Spagna ed erede al trono spagnolo con i diritti di successione delle Due Sicilie: si vorrebbe, cioè, che non sia possibile godere diritti dinastici ad entrambe le successioni perché le due Case sarebbero totalmente separate e indipendenti.
Tale tesi è smentita dal dato storico, in quanto la stessa successione di Carlo III costituisce un precedente chiaro ed inconfutabile: pur essendo Re delle Due Sicilie egli poté tranquillamente succedere al trono spagnolo dopo aver trasferito la Sovranità Italiana al secondo chiamato nell’ordine di successione.
I sostenitori del ramo ultrogenito trascurano, inoltre, di considerare sia l’esperienza storica di numerose famiglie reali europee (si veda per tutti la vicenda degli Stuart titolari della Corona scozzese ed eredi – poi succeduti realmente alla fine dei Tudor, loro cugini – anche del trono d’Inghilterra), sia che la Costituzione spagnola del 1876 conferiva un diritto di successione al trono a tutti i discendenti dei fratelli e sorelle di Ferdinando VII, fra i quali l’Infanta Isabella, moglie di Francesco I delle Due Sicilie, da cui hanno origine tutte le esistenti linee di quella Casa Reale non più regnante. In virtù di questo status e delle opportunità che offriva loro alcuni figli del Conte di Caserta ottennero cittadinanza e titoli spagnoli e si arruolarono nell’esercito del Regno di Spagna.
Appare, dunque, destituita di ogni fondamento giuridico e storico l’affermazione fatta dagli oppositori della linea primogenita, secondo i quali non sarebbe possibile godere dei diritti di successione ad entrambi i troni.
Il secondo argomento sollevato dai sostenitori della linea francese è che il Principe Carlo delle Due Sicilie, firmando il 14 dicembre 1900, pochi giorni prima del suo matrimonio con l’Infanta Mercedes, un documento noto come «Atto di Cannes» avrebbe compiuto un’ultima e definitiva rinuncia ai diritti al trono delle Due Sicilie e al Magistero degli Ordini della Casa, vincolando se stesso ed i propri discendenti (tra i quali l’attuale Infante di Spagna Don Carlos) in perpetuo.
In disparte la considerazione che l’Ordine Costantiniano non può definirsi, stricto jure, né collegato al diritto di successione al trono delle Due Sicilie, né propriamente Ordine della Casa Reale di Borbone-Due Sicilie (per le ragioni già illustrate a proposito della c.d. “primogenitura farnesiana”), quell’atto, in realtà, è diviso in due parti, la prima delle quali riguarda la futura successione alla Corona ed ai beni che si trovavano in Italia, la seconda le proprietà e gli investimenti lasciati in eredità da Francesco II e di cui il Principe Carlo non avrebbe più avuto bisogno in ragione del patrimonio portato in dote dalla futura moglie.
E’ opportuno dunque prendere in esame la prima parte del testo: «Si è presente Sua Altezza Reale il Principe D. Carlo Nostro amatissimo Figlio ed ha dichiarato che dovendo Egli passare a Nozze con Sua Altezza Reale l’Infanta Donna Maria Mercedes, principessa delle Asturie, ed assumendo per tal matrimonio la nazionalità e la qualità di Principe Spagnuolo, intende rinunziare, come col presente atto solennemente rinunzia per Sé e per i suoi Eredi e Successori ad ogni diritto e ragione alla eventuale successione alla Corona delle Due Sicilie ed a tutti i Beni della Real Casa trovantisi in Italia ed altrove e ciò secondo le nostre leggi, costituzioni e consuetudini di Famiglia ed in esecuzione della Prammatica del Re Carlo III, Nostro Augusto antenato, del 6 ottobre 1759, alle cui prescrizioni egli dichiara liberamente esplicitamente sottoscrivere ed obbedire.»
Va rilevato come il Principe Carlo dichiarasse di volere rinunciare secondo le «leggi, costituzioni e consuetudini di Famiglia ed in esecuzione della Pragmatica del 1759» alle quali prometteva di obbedire. Ma nella Costituzione e nella Sanzione in questione il Re Carlo III non adopera mai le parole «Corona delle Due Sicilie» ma piuttosto le locuzioni «Potere Spagnolo e Italiano», «Sovranità Italiana», «Stati e Beni Italiani»: fra le ipotesi vietate non rientra dunque quella di essere Capo della Casa Reale di un Regno che, peraltro, a quella data non esisteva più da tempo.
Inoltre, per il diritto internazionale (pubblico) i trattati fra Stati sono soggetti alla clausola rebus sic stantibus, da cui deriva che il trattato perde validità qualora le situazioni e condizioni premesse all’atto vengano meno.
Orbene, qui è chiaro come il venir meno addirittura di uno dei contraenti (il Regno delle Due Sicilie) dei Trattati di Napoli e Vienna abbia reso prive di valore le clausole di attuazione contenute nella Pragmatica Sanzione di Carlo III e, di conseguenza – per il riferimento che vi è fatto – anche l’Atto di Cannes.
A ciò va aggiunto, sul piano del diritto civile, il fatto che il Principe Carlo non rinunciava sic et simpliciter ad una Corona – che non aveva e nei cui confronti, per i buoni rapporti esistenti tra Spagna ed Italia, non sussisteva pretensione alcuna – ciò che al limite potrebbe essere considerato come cessione del bene di un terzo, ma rinunciava ad un diritto successorio che peraltro era solo eventuale non essendovi alcuna successione aperta.
Questo tipo di rinuncia non poteva essere considerato valido (anzi, era del tutto nullo) alla stregua delle disposizioni del codice civile del cessato Regno delle Due Sicilie e di quello italiano all’epoca vigente, e visto che l’oggetto della rinuncia era la successione alla Corona delle Due Sicilie, vale la pena di considerare il Codice Civile di quel Regno cui le parti contraenti l’Atto di Cannes avevano dichiarato esplicitamente di volersi conformare.
Recitava l’articolo 708 che «non si può, né pure nel contratto di matrimonio, rinunziare alla eredità di un uomo vivente, né alienare i diritti eventuali che si potrebbero avere a tal successione».
L’articolo 1084, poi, stabiliva che «le cose future possono essere oggetto di una obbligazione. Ciò non ostante non si può rinunziare ad una successione non ancora aperta, né fare alcuna stipulazione intorno alla medesima, nemmeno col consenso di colui della cui eredità si tratta».
L’articolo 1343, ancora, fissava la regola secondo la quale i coniugi «non possono fare alcuna convenzione o rinunzia, il di cui oggetto fosse diretto ad immutare l’ordine legale delle successioni, sia per rapporto ad essi medesimi nella successione de’ loro figli o discendenti, sia per rapporto à figli fra loro».
Infine l’articolo 1445 stabiliva che «non si può vendere l’eredità di una persona vivente, ancorché questa vi acconsentisse».
Riguardo poi alle norme di diritto internazionale privato, il codice era chiaro, e l’articolo 6 recitava che «i nazionali del Regno delle Due Sicilie, ancorché residenti in paese straniero, sono soggetti alle leggi che riguardano lo stato e la capacità delle persone».
Va però notato che a quell’epoca il Principe Ferdinando Pio, Capo della Real Casa di Borbone – Due Sicilie, ed il Principe Ereditario Carlo erano entrambi cittadini italiani e visto che i beni oggetto della rinuncia si trovavano anche (e principalmente) in Italia, se una delle parti avesse agito in giudizio per l’esecuzione dell’atto si sarebbe dovuto applicare il diritto del Regno d’Italia.
Era allora in vigore il Codice Civile del 1865 il quale, dopo aver premesso all’articolo 12 che «in nessun caso le leggi, gli atti e le sentenze di un paese straniero, e le private disposizioni e convenzioni potranno derogare alle leggi proibitive del Regno che concernano le persone, i beni o gli atti, né alle leggi riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico ed il buon costume», all’articolo 9 delle preleggi sanciva che «le forme estrinseche degli atti tra vivi e di ultima volontà sono determinate dalle legge del luogo in cui sono fatti» mentre «la sostanza e gli effetti delle obbligazioni si reputano regolati dalla legge del luogo in cui gli atti furono fatti».
Visto che l’atto in questione fu redatto e firmato in Francia, è fatto rinvio al diritto francese (che tale rinvio accettava), e precisamente al Code Napoléon (emanato nel 1806 ed ancora in vigore un secolo dopo) che recita «on ne peut, même par contrat de mariage, renoncer à la succession d’un homme vivant, ni aliéner les droits éventuels qu’on peut avoir à cette succession
[..]. Les choses futures peuvent être l’object d’une obbligation. On ne peut cependant renoncer à une succession non ouverte, ni faire aucune stipulation sur une pareille succession, même avec le consentement de celui de la succession duquel il s’agit.» (Non si può, neanche per contratto di matrimonio rinunciare alla successione di un uomo in vita, nè alienare i diritti eventuali che si possono avere a questa successione. Le cose future possono essere oggetto di un’obbligazione. Non si può, tuttavia, rinunciare ad una successione non aperta, nè porre alcuna clausola su una simile successione, anche con il consenso di colui al quale la successione si riferisce). E parlando del matrimonio e dei diritti degli sposi continua sancendo che «Ils ne peuvent faire aucune convention ou renonciation dont l’objet serait de changer l’ordre légal des successions, soit par rapport à eux-mêmes dans la succession de leurs enfants ou descendants, soit par rapport à leurs enfants entre eux» (Non possono fare alcuna convenzione o rinuncia il cui oggetto sarebbe cambiare l’ordine legale delle successioni, sia in relazione a se stessi che ai propri figli o discendenti, sia in rapporto ai figli tra di loro.).
Le succitate disposizioni di legge non potrebbero essere più esplicite nel dichiarare nulla ogni rinuncia di eredità futura.
Considerato che, come già chiarito, non c’era nulla nella legge dinastica delle Due Sicilie che imponesse la necessità di una rinuncia al diritto di successione e visto che i Codici Civili delle Due Sicilie, d’Italia e Francia proibivano tutti rinunce di questo tipo, la rinuncia operata dal Principe Carlo non può che ritenersi del tutto nulla e «tamquam non esset».
L’originario divieto di cumulare le corone di Spagna e delle Due Sicilie, peraltro, aveva come scopo di preservare l’equilibrio dei poteri in Europa ovvero, per dirla con le parole dello stesso Carlo III, di preservare «…lo spirito dei trattati di questo secolo nostro, che si desideri dall’Europa, quando si possa eseguire senza opporsi alla giustizia…». Ma nel 1900 la Corona delle Due Sicilie non esisteva più e non era più ipotizzabile (condizione impossibile) che venissero ad unirsi la «potenza Italiana e Spagnuola», sicché tale rinuncia fu del tutto illegale sia sul piano dinastico-successorio che su quello del diritto civile.
Vale la pena di ricordare, infine, che lo stesso presidente delle Cortes Spagnole nell’annunciare il matrimonio tra il Principe Carlo e la Principessa delle Asturie, allora erede presuntiva al trono di Spagna, comunicò che il nubendo avrebbe preso la nazionalità spagnola (cosa che fece il 7 febbraio 1901) senza bisogno di dover rinunciare ad alcuno dei propri diritti ereditari quale Principe delle Due Sicilie ed il Ministro della Giustizia aveva precedentemente avvertito la Regina che «Sua Altezza Reale il Principe Don Carlo non era obbligato a rinunciare ad alcun tipo di diritto familiare o dinastico e che se anche mai avesse voluto farlo non avrebbe potuto: in primo luogo perché i diritti dinastici sono di per sé irrinunciabili….. e poi perché, dal momento che la Corona delle Due Sicilie non esisteva più, non avrebbe potuto rinunciarvi neanche in maniera ipotetica».
La coppia si sposò il 14 febbraio 1901 ed il primo figlio, Alfonso, nacque circa nove mesi dopo, il 30 novembre dello stesso anno. Un secondo figlio, Fernando, nacque il 6 giugno 1903 ma morì all’età di soli due anni il 4 agosto del 1905. Ed infine nacque una femmina, l’Infanta Isabella, il 16 ottobre 1904, ma nel darla alla luce la madre morì, sicché il piccolo Alfonso divenne Principe Ereditario alla Corona spagnola con il titolo di «Infante Heredero». Questo status lo perse solo tre anni dopo, con la nascita il 10 maggio 1907 del Principe delle Asturie, figlio del Sovrano regnante, mentre la nascita di un altro figlio di Alfonso XIII lo distanziò ulteriormente nell’ordine di successione al trono.
Il Principe Carlo, inoltre, era stato creato Infante di Spagna il 7 febbraio 1901 e conservò questo titolo per tutta la vita. Il 16 novembre 1907 sposò in seconde nozze la Principessa Luisa d’Orléans, figlia del Conte e della Contessa di Parigi. In tutte le cerimonie egli veniva indicato come Principe delle Due Sicilie e Infante di Spagna e suo padre fu presente come capofamiglia dello sposo.
La Principessa Luisa fu creata a sua volta Infanta di Spagna il giorno del matrimonio ed ai figli nascituri venne altresì concesso il titolo di Principe o Principessa di Borbone, con il trattamento e gli onori di Infanti di Spagna. La loro figlia Mercedes sposò Don Juan, Conte di Barcellona, ed è la madre dell’attuale Re di Spagna Juan Carlos I.
Tutto ciò senza considerare, come si è accennato, che il Gran Magistero Costantiniano fa capo alla qualità di Primogenito Farnesiano, la cui successione, distinta e separata, è disciplinata in modo diverso da quella del Regno delle Due Sicilie con la quale ha condiviso, in unione personale nei Capi della famiglia Reale di Borbone – Due Sicilie, la sua storia più recente, e che trattandosi di Ordine religioso (i cavalieri di giustizia professi di voti religiosi – come nell’Ordine di malta – non esistono di fatto ma non sono mai stati giuridicamente soppressi) è disciplinato dalle norme di diritto canonico ed un eventuale trasferimento della linea di successione al Gran Magistero (che è pure ufficio religioso) già approvata dalla Santa Sede avrebbe dovuto avere l’ulteriore approvazione pontificia che, invece, non è mai stata neppure richiesta.
E di rinuncia alla qualità di Primogenito Farnesiano (status, è bene ricordarlo, in unione personale ma non reale nell’allora Capo della Casa Reale di Borbone-Due Sicilie) ed ai conseguenti diritti dinastici e prerogative ad essa connesse non vi è nessuna traccia nell’Atto di Cannes.
Nel 1941 la Real Casa delle Due Sicilie decise di vendere i suoi ultimi possedimenti in Italia (fra cui parte del ducato di Castro ereditato dai Farnese) al governo italiano. Sebbene questi facessero dunque parte dei «Beni della Real Casa trovantisi in Italia» a cui i sostenitori della linea ultrogenita pretendono che il Principe Carlo avesse rinunciato nella prima parte dell’Atto di Cannes, non venne mai fatta alcuna menzione di tale presunta rinuncia. Anzi, i documenti di trasferimento e di vendita dimostrano che egli ottenne la parte che gli spettava assieme ai fratelli e sorelle, venendo nominato subito dopo il fratello Ferdinando Pio.
In una lettera al Principe Ferdinando Pio datata 7 marzo 1941, il Principe Carlo diede istruzioni al fratello circa i dettagli bancari per il pagamento della propria quota. E’ impossibile comprendere perché il Principe Carlo avrebbe dovuto partecipare a questa vendita assieme ai fratelli e sorelle se questi avessero ritenuto che egli aveva rinunciato ai propri diritti di successione.
Il 7 gennaio 1960 Ferdinando Pio, Duca di Calabria, morì a Lindau in Baviera. Il 6 febbraio dello stesso anno l’Infante Don Alfonso, essendo il proprio padre Carlo già morto, scrisse al Sommo Pontefice Giovanni XXIII per informarlo, con una lunga lettera in cui ripercorreva la storia dell’Ordine Costantiniano (che è anche Ordine della Chiesa Cattolica e che, similmente all’Ordine di Malta, era Ordine religioso e laicale, anche se da tempo non esistono più «de facto» membri che emettono i tre voti religiosi) della propria accessione al Gran Magistero di quell’Ordine. Il 7 febbraio 1960 l’Infante Don Alfonso si proclamò Capo della Real Casa delle Due Sicilie e Duca di Calabria e ne diede comunicazione scritta a tutti i Capi di Case regnanti o ex regnanti.
Il 12 marzo 1960 il Conte di Barcellona, padre dell’attuale Re di Spagna, all’epoca capo della Casa Reale Spagnola e Pretendente al trono di Spagna, gli rispose con queste parole: «Ho studiato attentamente la Pragmatica Sanzione di Carlo III e la rinuncia fatta da tuo padre al momento del suo matrimonio con mia zia la Principessa delle Asturie, e mi sembra che i tuoi diritti siano molto chiari, e di conseguenza avrai tutto il mio sostegno per ciò che riguarda le tue legittime aspirazioni. Visto che conosci tuo zio Ranieri meglio di me, fammi sapere se pensi che possa essere utile che gli scriva dandogli la mia opinione, poiché dal mio punto di vista è l’unico che dimostra una certa belligeranza visto che è l’unico fratello superstite dello Zio Nando Calabria e si era fatto qualche illusione riguardo l’eredità. Ti ricorderai di certo che due anni fa’ parlai con lo Zio Nando senza ottenere alcun risultato».
Il 18 marzo dello stesso anno il Principe Alfonso ricevette una lettera da Roberto II, Duca di Parma, in cui il Principe diceva di aver studiato i documenti del caso e che i diritti dell’Infante Don Alfonso erano secondo lui palesi. E in simili termini si espressero anche l’Infante Don Jaime e Dom Duarte, Duca di Braganza.
Il 14 marzo 1962 Don Juan, Conte di Barcellona, nella sua qualità di Capo della Real Casa di Spagna, scrisse al Principe Ranieri per persuaderlo a desistere dalle proprie intenzioni; ma questi gli rispose negativamente. Lo stesso giorno l’allora Principe delle Asturie Don Juan Carlos, erede al trono di Spagna, scrisse al Luogotenente dell’Ordine di Malta per protestare contro l’accettazione da parte del Gran Cancelliere di quell’Ordine della Croce di Balì dell’Ordine Costantiniano concessagli dal Principe Ranieri, affermando che il Capo dell’Ordine e della Casa delle Due Sicilie era l’Infante Don Alfonso, Duca di Calabria.
A tal proposito, su di un piano meramente dinastico-nobiliare, va rilevato come la Pragmatica Sanzione del 1759 fosse stata promulgata da Carlo III in quanto Re di Spagna e Delle Due Sicilie, due dinastie inestricabilmente collegate l’una all’altra. In quanto Re di Spagna, il Re Juan Carlos I è successore di Carlo III e, di conseguenza, si considera il solo legittimato a risolvere questa controversia.
Alla fine del 1982 il Re, pertanto, ordinò a cinque dei più importanti organi dello Stato Spagnolo di esaminare con cura la successione disputata. Ognuno di questi cinque enti giunse alla conclusione che il legittimo Capo della Casa delle Due Sicilie è «S.A.R. Don Carlos de Borbón-Dos Sicilias y de Borbón-Parma, Duque de Calabria» e tale verdetto venne comunicato all’interessato dal Marchese di Mondéjar, Ministro della Real Casa, con lettera datata 8 marzo 1984.
La posizione di Don Carlos è stata ulteriormente riconosciuta e definita col Regio Decreto 16 dicembre 1994 n. 2412 che, in considerazione dell’essere Sua Altezza Reale Don Carlos di Borbone Due Sicilie e Borbone Parma, rappresentante (cioè capo) di una linea dinastica (Borbone – Due Sicilie) vincolata storicamente alla Corona spagnola, gli ha concesso la dignità di Infante di Spagna, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 3.0.2 del Real Decreto 1368/1987.
E’ importante fare attenzione alle parole usate nel decreto. S.A.R. Don Carlos è chiamato «di Borbone Due Sicilie», ciò che conferma come questo ramo non abbia mai cessato di far parte della Real Casa delle Due Sicilie, come invece sostenuto dalla linea francese. E’ inoltre indicato come «rappresentante di una linea dinastica» e questo in quanto discendente maschio primogenito della Famiglia, il che spiega perché in lui e solo in lui concorrano quelle «circostanze eccezionali» che hanno motivato la concessione regia, che quindi può essere considerata un definitivo riconoscimento della sua qualità di Capo di questa linea.